Asfalto e canestri: intervista a Kevin Couliau

Ho intervistato per RivistaUndici.com il fotografo francese Kevin Couliau, che gira il mondo a caccia di playground da immortalare per il suo progetto Asphalt Chronicles. Ecco il testo integrale pubblicato il 10 maggio 2016. Grazie a Kevin per la disponibilità e per le splendide foto. 

kevin couliau dakar
Caserme Militaire, Dakar © Kevin Couliau

Il basket dei playground. Il basket da strada. Streetball. Pick-up basketball. In qualsiasi modo lo si chiami, è il basket nella sua vera essenza. Un rettangolo di asfalto, un canestro, una palla a spicchi e un gruppo di persone che ama questo sport. E che gioca per orgoglio, reputazione, ricerca di una via d’uscita, stare in forma o semplice divertimento. In ogni angolo del mondo. Sulle tracce di questa “religione universale” c’è Kevin Couliau, fotografo e documentarista francese, la cui “missione” è raccontare i playground e il basket genuino che su quell’asfalto si gioca, da New York a Hong Kong, dall’Islanda all’Africa, da San Francisco a Berlino, tra grattacieli o palme, tra reti metalliche o graffiti. «Ho iniziato nel 2004» racconta «sui playground di Nantes. I primi soggetti sono stati i miei amici. Poi, durante l’estate, ho proseguito a New York. Come tutti i giocatori di basket, anche io ho sognato di arrivare in Nba, ma lo sport ha aperto la mia mente all’arte, all’architettura e, cosa più importante, alla fotografia».

Clybourne Park, Chicago
Clybourne Park, Chicago © Kevin Couliau

Couliau, che vanta collaborazioni con Nike, Red Bull, K1X, Citroen e nel 2013 ha firmato con Bobbito Garcia il pluripremiato documentario Doin’it in the park sul basket da strada nella Grande Mela, è sempre in viaggio per il pianeta a caccia di playground da immortalare. Ha creato il progetto Asphalt Chronicles: un profilo Instagram (@asphaltchronicles) e un magazine a tiratura limitata dedicati alla cultura streetball. Manila e Dakar le prime due uscite, ma sul social compaiono immagini da ogni dove, con particolare attenzione al contesto urbano e al paesaggio. Couliau privilegia scatti semplici e luce naturale, mostrando persone vere in un mondo senza trucchi o sovrastrutture, perché così è il basket dei playground: sul campo si è tutti uguali, lo status sociale non conta. «Quando ho cominciato, stavo vivendo anche un’esperienza parallela con lo skateboard ed ero affascinato dalla capacità che i fotografi di skateboard avevano nel rivelare non solo l’atleta, ma la bellezza delle città e dei posti in cui si pratica sport all’aperto. Questo è ciò che mi ha ispirato a rivolgere il mio obiettivo al basket. Ho voluto portare qualcosa di differente, focalizzandomi sulla composizione e sulla dimensione artistica dello sport, non solo sulla performance».

Private Road Court, Manila © Kevin Couliau

Scorrendo il tuo portfolio, c’è quasi da rimanere disorientati tra tanta diversità di paesaggio, ma sempre con un denominatore comune: un canestro. Qual è l’emozione più intensa nel trovarsi di fronte tutto questo?
Penso che riguardi soltanto l’essenza stessa del gioco. Ha a che fare con l’essere giocatore di basket e con l’esplorare i modi differenti con cui questa enorme passione viene perseguita. Quando vado a visitare un playground, o semplicemente ne trovo uno per caso, l’unica voglia che sento è quella di allacciarmi le scarpe e di giocare. È qualcosa di indefinito che scorre nelle mie vene, non ha una spiegazione logica. Come fotografo, invece, c’è spesso l’eccitazione della nuova scoperta: un playground in una location unica, o dal design particolare. O senza alcun design. È la bellezza di ogni campo, di ogni partita di basket: la mia sfida, sempre, è cogliere e rivelare questa bellezza.

kevin couliau goat park
Goat Park, NYC © Kevin Couliau

Cosa ricordi dell’esperienza di Dakar?
Ho avuto l’opportunità di visitare due volte Dakar durante la mia collaborazione con Seed Project, un’academy che allena e prepara giovani prospetti di basket a diventare i leader di domani. Il Senegal mi è sempre stato familiare, dal momento che in Francia sono cresciuto circondato da giocatori di origine africana. Una volta sul posto, ho avvertito fin da subito la presenza di un’immensa cultura di basket. Ho incontrato giocatori e appassionati di generazioni differenti, ma tutti con storie profonde da raccontare. In Senegal si gioca all’aperto quasi ovunque, in tutta Dakar c’è una sola palestra, così è facile vedere una gran quantità di gente che si muove nei playground. Lo sport sprigiona forti energie in Senegal e il basket sta riaffermando la sua cultura. Infatti, come in molti altri posti che ho visitato, gli anni ’90 sono stati l’età dell’oro per lo streetball e, dopo un periodo di offuscamento negli anni 2000, ora sta rinascendo grazie a iniziative individuali, campi rinnovati e tornei.

Philippi Court, Cape Town © Kevin Couliau

E hai incontrato Boris Diaw, la scorsa estate.
Boris Diaw era in Senegal come ambasciatore di Seed Project, di cui ha fondato recentemente la sezione femminile. Ci siamo incontrati a Thiès, dove si trova il campus. E ovviamente abbiamo parlato a lungo di fotografia, di cui è davvero appassionato. Boris è metà francese e metà senegalese ed è coinvolto nello sviluppo del basket in Senegal, pur non essendo veramente cresciuto laggiù. Ho avuto l’opportunità di seguirlo per un’intera giornata nel villaggio di suo padre, Mpal, dove oltre 200 persone del clan dei Diaw stavano aspettando la sua visita. Suo padre è un avvocato, un ex atleta ed è anche il sindaco di Mpal: per celebrare il suo arrivo, è stata organizzata una partita di basket in suo onore e oltre 500 bambini sono arrivati per festeggiare Boris. Catturare nei miei scatti la passione e l’amore per il basket, uno sport che in quella remota cittadina c’è solo da poco tempo, è stata un’esperienza surreale. Spero che io e Boris collaboreremo a qualcosa insieme, un giorno.

Prossima tappa?
Sto valutando Dubai. Ci sono stato di recente a visionare alcune location. Mi ha parecchio impressionato notare che anche lì esista una certa cultura di basket. Il problema, più che altro, è andarci quando non ci siano 50 gradi… In ogni caso, voglio cambiare continente a ogni uscita, quindi se non sarà Dubai, troverò comunque il modo di visitare un altro posto prima della fine dell’anno.

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Hoi Fu Court, Hong Kong © Kevin Couliau

Per condividere i tuoi scatti, Instagram è il social migliore?
Sì, nella maniera più assoluta. Instagram è spontaneo, rapido e puoi misurare istantaneamente la capacità attrattiva di ogni fotografia. Comunque, la piattaforma non è così buona come lo era fino a qualche tempo fa: l’intero sistema di like e follower è oggi inficiato da troppi profili fake. E a un certo livello molti fotografi si limitano a fare tutti le stesse cose, non hanno più personalità.

Cosa pensi dei playground francesi? E di quelli italiani?
Sono stato in Italia appena un paio di volte, l’unica cosa che mi sento di affermare è che il basket italiano ha una grande storia e un sacco di talenti. I miei amici mi parlano sempre di Milano come la città con il maggior numero di playground in Italia, così non vedo l’ora di esplorarla. In Francia abbiamo una forte realtà di playground, iniziata negli anni ’90 e ancora molto viva. I campi non sono i migliori, ma quando ne vedi alcuni che si affacciano sulla Torre Eiffel, non puoi certo lamentarti! Tornei internazionali come il Quai 54 o brand come Pigalle hanno puntato i riflettori sulla scena cestistica parigina, rivelandone il coraggio, la grinta e la sua varietà allo stesso tempo.

Scegli i 3 migliori playground del mondo.
Goat Park a New York City, La Perla a Puerto Rico e Hoi Fu Court a Hong Kong.

La Perla, San Juan © Kevin Couliau

Leggi qui l’intervista su RivistaUndici.com

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