Sport e odio. Due parole incompatibili, ma che spesso finiscono per incontrarsi. Il tutto, nella realtà di oggi, alimentato e ingigantito dal web e dai social. E quindi dalle persone stesse, perché una community online è composta nient’altro che da persone.
Di odio online e hate speech nello sport, ma anche di integrazione e impegno contro il razzismo, si è parlato in almeno due appuntamenti del Festival Internazionale di Giornalismo, a Perugia dall’11 al 15 aprile 2018.
Attraverso l’analisi di alcune case history nella comunicazione e la testimonianza di realtà operanti “sul campo”, nel vero senso della parola, è stato evidenziato il delicato compito che spetta a chi opera nell’informazione per prevenire o gestire l’insorgenza, spesso estremamente rapida, di situazioni caratterizzate da offese individuali, odio e intolleranza.
Odio online e hate speech nello sport
Nel primo incontro, tre dei promotori del progetto Sport Digitale – nato a margine del libro Digital marketing nello sport di Alessandra Ortenzi per incentivare la cultura digitale nel mondo sportivo – hanno parlato intorno al tema Odio online e hate speech nello sport: analisi di case history e soluzioni.
“Quanti di voi hanno commentato un evento sportivo online e lo hanno fatto con un linguaggio un po’ forte?”, ha esordito la stessa Ortenzi, giornalista sportiva, di fronte a una platea caratterizzata da una folta percentuale di giovanissimi, sottolineando la propensione tipica dell’ambiente dello sport allo sviluppo di conversazioni critiche sfocianti nell’attacco personale e nell’insulto. Quindi, l’avvocato Federica De Stefani ha analizzato gli aspetti giuridici dell’odio online, portando come caso la notizia del trasferimento di Gonzalo Higuain dal Napoli alla Juventus, avvenuto nel luglio 2016 e ancora capace di generare polemiche.
“Nella comunicazione sportiva – ha spiegato De Stefani – tutto ruota intorno al modo con cui vengono presentate le notizie, che può avere un effetto dirompente sulla generazione di odio. Il giornalista ha il dovere di gestire la maniera in cui dà la notizia e di tener conto dei potenziali commenti a cui la notizia potrebbe dare origine: ricordiamo che il diritto di critica e la libertà di espressione finiscono sempre dove iniziano quelli di un’altra persona, in questo caso il diritto del calciatore a non essere insultato. Spetta ai comunicatori, giornalisti ma anche semplici utenti, gestirne tale modalità”.
In particolare, i giornalisti devono districarsi in una duplice veste: quella di destinatari di attacchi e offese da parte dalla community e quella di titolari del diritto di cronaca, che però implica quanto detto. Tuttavia, se da un lato c’è chi arrivò ad augurare la morte a Higuain, dall’altro esistono tanti altri episodi di grande sportività, come la standing ovation che il pubblico dell’Allianz Stadium ha tributato a Cristiano Ronaldo dopo il suo magnifico gol il rovesciata alla Juventus.
“Il modo in cui si sviluppano le conversazioni attorno a eventi sportivi – riprende la parola Alessandra Ortenzi – è strettamente legato all’ambiente in cui una determinata disciplina sportiva vive e si sviluppa: a seconda di questo ambiente, le community che interagiscono hanno una diversa percezione dello sport e quindi reazioni diverse. In altre parole, il linguaggio utilizzato è sempre collegato alla disciplina”.
L’esempio addotto è quello del recente fatto di cronaca che ha avuto per protagonista Conor McGregor, l’icona della MMA, sport “se così si può definire” che fa combattere i due contendenti in una gabbia, particolare che fa ben intendere il tipo di clima che lo circonda. “Gravi casi gravi di odio online – prosegue Ortenzi – possono addirittura essere mitigati dal contesto, come è avvenuto nel caso di McGregor: qui è stata la stessa community, attraverso la derisione, ad alleggerire la situazione anziché condannarla, essendo lui un personaggio molto popolare nel suo sport. Quindi il giornalista deve saper valutare tutto questo. La community, se conosce strumenti e dinamiche di web e social meglio del giornalista, può essere molto potente”.
Infine, Bernardo Mannelli, esperto di comunicazione digitale “ma oggi solo in veste di calciatore dilettante“, ha spostato il discorso sull’integrazione come arma di risposta a odio e discriminazioni. Ha parlato della sua esperienza con il Teatro del Sale Football Club, squadra di Firenze composta da amatori locali e richiedenti asilo, con un’attrice come presidente e addirittura un’allenatrice professionista – la svedese Lisa Ek – che però non prende un centesimo, “perché una delle nostre regole – ha sottolineato Mannelli – è zero budget, siamo dilettanti allo stato puro e l’integrazione che proponiamo non è una maratona buonista ma il nostro club è regolato dalle normalissime dinamiche di una squadra di calcio“.
Chiaramente, dopo un po’ di tempo sui social del club è arrivato anche l’insulto razzista da parte di un utente. “Ce lo aspettavamo – continua – ma abbiamo notato che è successo soltanto online, sul campo non succede quasi mai. E quelle volte che accade qualcosa di simile è al massimo l’emanazione di una rabbia interiore: spesso purtroppo, per istinto, quando vediamo qualcuno dall’aspetto differente come può essere una persona di colore, siamo indotti a metterci sulla difensiva“.
Raccontare il calcio e l’integrazione: Nessuno in fuorigioco
L’altro appuntamento a Perugia è l’incontro con associazioni che promuovono l’integrazione attraverso il calcio, curato dal magazine MondoFutbol.com nell’ambito del progetto Nessuno in fuorigioco, la newsletter che racconta le storie di chi ha una visione differente del calcio e per promuovere un modo di pensare e di agire concreto e positivo, dando allo sport un elevato significato di inclusione sociale.
Con Nessuno in fuorigioco, MondoFutbol.com ha raccontato sei storie di condivisione e integrazione in tutta Italia attraverso il calcio, proposto come strumento di condivisione di valori e anche di costruzione e ricostruzione di identità territoriali. “Un viaggio oltre la frontiera dell’indifferenza e della discriminazione“, come l’ha definito il direttore editoriale Guido Montana.
L’incontro è stato introdotto e moderato da Carlo Pizzigoni, direttore responsabile di MondoFutbol.com e noto scrittore di calcio: “Come dice il mio amico Federico Buffa, il calcio è il vero teatro del mondo. Tutti ruotano attorno a quel pallone. Lo stesso Jules Rimet definiva il calcio come strumento di comprensione e di amicizia tra tutti i giovani del mondo. Senza questi valori, il calcio non è niente: per questo noi di MondoFutbol.com raccontiamo tutto il calcio, dalla Coppa del Mondo fino alle realtà dilettantistiche. Perché la magia del calcio comprende tutto e coinvolge tutti“.
Hanno raccontato la loro esperienza Alberto Urbinati, presidente del club calcistico Liberi Nantes di Roma, composto esclusivamente da rifugiati e richiedenti asilo; Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell’associazione Antigone, realtà impegnata nel sociale che promuove, tra le sue attività, l’Atletico Diritti, società sportiva attiva in calcio, basket e cricket e composta da migranti, detenuti e studenti universitari; infine, Raffaella Chiodo, vice presidente della rete FARE – Football Against Racism in Europe, di cui fanno parte circa 100 associazioni in 40 Paesi.
Queste e molte altre sono le realtà, in Italia e in Europa, che utilizzano il calcio come strumento formidabile di integrazione e inclusione sociale, al di là di ogni discriminazione razziale e non solo, e nonostante offese e atti intimidatori con cui purtroppo devono continuamente fare i conti. Quello dell’immigrazione è il tema che, forse più di ogni altro, divide oggi la nostra società, dimenticando che, come hanno affermato oggi all’unisono i relatori, alla fine “sono le persone che abbiamo accolto che ci hanno interiormente arricchito“.