Il sentimento condiviso è che con Kobe Bryant non se ne sia andato soltanto uno dei più grandi giocatori di basket che abbiano mai calcato il parquet, ma una mente eccezionale in grado, con la sua intelligenza e con la Mamba Mentality, di avere successo in ogni campo.
L’esperienza della Granity Studios è lì a dimostrarlo. La casa di produzione multimediale da lui fondata nella Orange County, dove viveva, ha come mission proprio ciò che Bryant si era posto come obiettivo: unire l’amore per lo sport con quello per lo storytelling.
Per reinventarsi dopo una carriera NBA vissuta così ferocemente dal primo all’ultimo giorno, Kobe Bryant era intenzionato ad affiancare all’impegno come investitore anche qualcosa in cui realizzare la sua volontà di raccontare storie in grado di ispirare, soprattutto i più giovani, attraverso contenuti di intrattenimento di assoluta qualità.
Granity Studios, più grande dell’infinito
Granity è una parola immaginaria, coniata dallo stesso Bryant dalla fusione della frase “greater than infinity“. Più grande dell’infinito: come le storie che la sua straordinaria mente creativa avrebbe continuato a sfornare. Un termine, inoltre, in grado di evocare consistenza, solidità, come il granito (granite).
Che uno come Kobe Bryant non potesse puntare a qualcosa di diverso dal massimo risultato era evidente fin da quello che si poteva considerare il suo debutto post-ritiro: il premio Oscar vinto con il cortometraggio Dear Basketball. Nato dalla sua lettera d’addio alla pallacanestro giocata, ne aveva tratto un film prodotto da Granity Studios, diretto da Glen Keane (grande animatore Disney che ha firmato, tra gli altri, La Sirenetta, Aladdin, Pocahontas, Le avventure di Bianca e Bernie) e musicato dal grande John Williams, autore di colonne sonore di successi planetari e transgenerazionali quali Star Wars, E.T., Indiana Jones, Jurassic Park, Harry Potter.
E proprio Walt Disney, J.K. Rowling, Steve Jobs erano gli indiscussi punti di riferimento di Kobe, assiduo studioso di saghe come Harry Potter e Star Wars, nonché dei classici Disney, per apprendere le meccaniche della narrazione e lo sviluppo del carattere di ogni personaggio. Tanto che in futuro avrebbe voluto lanciare un proprio studio di animazione.
L’obiettivo di Granity Studios è appunto quello di raccontare storie legate allo sport, per intrattenere, educare e ispirare. Dopo la tragica scomparsa del suo fondatore, la società ha dichiarato di voler proseguire la missione e l’impegno di Kobe nell’ispirare persone, attraverso l’educazione creativa, ad essere le migliori versioni di se stesse.
Kobe Bryant e lo storytelling
“Amo ciò che facciamo con le storie che stiamo cercando di creare e costruire – aveva detto Bryant – Questo è ciò che mi fa andare avanti, che mi tiene sveglio la notte o che mi fa alzare all’alba. Come ispiri una persona a ispirare un’altra persona che a sua volta ne ispira un’altra ancora, fino a creare qualcosa davvero senza tempo? Amo le storie. Amo tutto ciò che ha a che fare con esse. Amo inventare trame e personaggi coinvolgenti. Amo le storie sul lavoro duro e sulla dedizione. Ma oltre a questo, amo la reazione dei bambini quando leggono le storie. Il momento che li fa meravigliare e poi riflettere e vedere che ogni bambino lo interpreta in modo diverso“.
La passione e l’interesse per la scrittura si era sviluppato in Kobe Bryant fin dall’adolescenza. In particolare, durante il secondo anno di liceo alla Lower Merion High School di Philadelphia, seguì con particolare attenzione i corsi di scrittura creativa di Jeanne Mastriano, un’insegnante verso cui era molto disciplinato nonostante i continui impegni sportivi. Una propensione rimastagli dentro e che gli sarebbe tornata utile una volta conclusa la carriera cestistica.
“Vorrei essere conosciuto come una persona abile a creare storie che hanno ispirato bambini e famiglie a stare insieme“, disse in un’altra occasione. E per elevare al massimo livello la qualità dei prodotti multimediali che avrebbe creato con la Granity Studios, Kobe aveva stabilito partnership con scrittori, produttori, illustratori di comprovata esperienza, che avessero già vinto premi. Proprio come lui. E si apprestava a scrivere un libro con il grande autore brasiliano Paulo Coelho.
The Wizenard Series e gli altri
Le storie ideate da Kobe Bryant volevano sollecitare l’immaginazione dei giovani atleti e incentivare in loro, attraverso valide lezioni di vita, uno sviluppo emozionale e mentale per spingerli a realizzare pienamente il proprio potenziale..
Dalla fucina di Granity Studios sono usciti alcuni libri per ragazzi che uniscono lo sport con la fantasia, su tutti la saga The Wizenard Series, che a ottobre 2020 arriverà in Italia per Electa Junior. Lo scrittore Wesley King ha sviluppato un’idea di Kobe creando il personaggio di Coach Wizenard, un allenatore in grado di guidare una squadra di ragazzi al riscatto e alla vittoria, insegnando loro a crescere e a maturare attraverso lo sport, con autorevolezza, motivazione e magia. “Quando qualcuno insegue il proprio sogno, guardalo da vicino. Il suo sforzo farà scintille e forse il tuo incendio è lì che aspetta“, si legge nel libro.
Legacy & The Queen si sposta invece dal basket al tennis, raccontando le avventure di una povera dodicenne che vive nell’immaginaria Repubblica di Nova. Epoca. The Tree of Ecrof di Ivy Claire è ambientato in un mondo alternativo dominato dallo sport e da un potere magico chiamato grana. Narra la storia di due bambini che scoprono e combattono un cattivo terribile, scoprendo la loro forza interiore lungo il cammino. Perché è proprio questo ciò a cui Kobe puntava: incoraggiare i bambini a credere che possono arrivare dove vogliono. The Punies, infine, è un podcast di storie di fantasia su un eclettico gruppo di giovani che inseguono grandi sogni nello sport, scritte da Jon Haller sempre su soggetto del Black Mamba.
In tutto ciò si riflette la mentalità che Bryant non aveva mai perso, neanche dopo aver giocato la sua ultima partita. Non aveva smesso di competere, voleva riuscire in altri campi applicando la curiosità e l’etica del lavoro che lo avevano reso un giocatore leggendario. Lo storytelling come veicolo per ispirare i giovani a perseverare, a seguire le loro passioni e ad essere i migliori in ciò che si fa. Come si legge nel messaggio diffuso dalla Granity Studios dopo la sua morte, Kobe Bryant desiderava “insegnare alle future generazioni come realizzare pienamente il loro potenziale. Credeva nella bellezza del processo, nella forza che viene dalla magia interiore e nel raggiungere l’impossibile“.