The Cagers: il basket per andare oltre le sbarre

Il basket come strumento di inclusione e reinserimento sociale. È partito a ottobre 2023 il progetto su scala nazionale The Cagers, con  l’obiettivo di formare una squadra di detenuti che, per almeno un anno, si allenerà a Trieste.

Quattro i membri dello staff tecnico, due uomini e due donne, tutti ex giocatori ad alto livello: Stefano Attruia (è nato tutto da una sua intuizione), Donato Avenia, Francesca Zara e Federica Zudetich. Zara, in particolare, si occuperà della preparazione atletica.

Hanno girato per numerose case circondariali di tutta Italia (tra cui Napoli, Catania, Civitavecchia, Volterra e molte altre), per tenere allenamenti di selezione in cui individuare gli elementi che faranno parte del gruppo. L’intento è arrivare, nel giro di una stagione, a costruire una squadra vera e propria in grado di partecipare a un campionato ufficiale.

Grazie al suo elevato valore sociale ed educativo, The Cagers ha il sostegno del Ministero della Giustizia e di quello per lo Sport e Giovani. Il progetto offre ai detenuti l’opportunità di riavvicinarsi al mondo esterno e a un’idea di libertà, nel rispetto delle regole e della convivenza con gli altri. Il tutto facendo conoscere le storie che ciascuno porta con sé, oltre ogni stereotipo e pregiudizio.

The Cagers: perché questo nome?

Il nome scelto per questo progetto, The Cagers, ha un doppio significato. Esso scende in profondità sia nella storia della pallacanestro sia nelle vite dei detenuti-atleti che ne sono protagonisti.

Cage in inglese vuol dire “gabbia”. Quindi i Cagers quindi sono quelli che stanno dietro le sbarre. Però è anche un termine utilizzato in America, nel gergo informale, per indicare i giocatori di basket. In questo caso, si adatta alla perfezione: alludendo alla condizione dei carcerati, The Cagers vuole ispirare un’idea di riscatto sociale. La pallacanestro come mezzo per spingere a guardare oltre ogni rete metallica.

La ragione storica riporta invece agli albori di questo sport. Infatti, fin dai tempi di James Naismith, le prime partite erano piuttosto dure, tanto da essere disputate all’interno di recinzioni, sia con lo scopo di proteggere gli atleti dalle intemperanze del pubblico, sia il pubblico dalle reazioni dei giocatori, già piuttosto alti e grossi. Tanto che il nuovo gioco venne chiamato The Cage Game.

E così il basket primordiale si giocava in “gabbia”. Una caratteristica che oggi è piuttosto comune in alcuni playground, come ad esempio quello di West 4th Street a New York. Uno dei più famosi e frequentati e che è soprannominato, appunto, The Cage.

the cagers
Foto: Ansa.it

Gli allenatori: chi sono

I quattro tecnici alla guida dei detenuti selezionati per The Cagers sono figure di lunghissima esperienza ad alto livello nella pallacanestro italiana e non solo e che hanno vestito anche la maglia azzurra.

Stefano Attruia, triestino del 1969, è stato playmaker di prestigiosi club tra cui Virtus e Fortitudo Bologna, Pesaro, Reggio Emilia, Virtus Roma, Reggio Calabria, Libertas Livorno, Libertas Forlì, Pavia, Roseto. Ha indossato anche le divise di AEK Atene e Real Madrid.

Donato Avenia, classe 1966 di Agropoli (SA), già ala dalla grande vena realizzatrice, è stato una bandiera della Viola Reggio Calabria. Inoltre ha giocato con Roma, Reggio Emilia, Pistoia, Ragusa e varie squadre delle categorie minori fino ben oltre i 40 anni.

Federica Zudetich, nata a Trieste nel 1976, centro, ha militato, tra le altre, nelle squadre di Cesena, Reggio Emilia, Faenza e Cagliari. A livello giovanile collezionato quattro scudetti con i club e varie medaglie con la nazionale.

Francesca Zara, veneta di Bassano del Grappa (1976), play-guardia con 124 presenze in nazionale e 5 scudetti, è stata l’unica italiana ad aver vinto l’Eurolega (con lo Spartak Mosca nel 2007). Ha giocato anche in WNBA con le Seattle Storm, in Italia con Vicenza, Alcamo, Como, Napoli, Parma, Umbertide, Venezia e in Francia a Valenciennes.

Basket e carcere: l’esperienza di Q Ball

Nel mondo esistono progetti di simile natura, finalizzati alla riabilitazione e al reinserimento sociale delle persone detenute. Negli Stati Uniti, in particolare, si ricorda quello del penitenziario di massima sicurezza di San Quentin, California, non lontano da San Francisco.

Qui il basket è una componente molto importante, tanto che la squadra del carcere partecipa a tornei e campionati insieme a squadre della zona. Un’esperienza raccontata nel documentario Q Ball di Michael Tolajian, uscito nel 2019 e disponibile su Netflix. Tra i produttori esecutivi c’è Kevin Durant e il programma ha il sostegno dei Golden State Warriors.

Che sia America o Italia, grazie al linguaggio universale del basket e dello sport è possibile offrire una seconda chance a quelle persone che nella vita, per dirla con Federico Buffa, “sono passate con il rosso“, condividendo storie caratterizzate dai più diversi background e indirizzando la voglia di riscatto verso un nuovo obiettivo.

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