Alex Caruso è uno dei fenomeni mediatici più interessanti della stagione NBA 2019-20. Tanto che il giocatore dei Los Angeles Lakers è stato a lungo tra i più votati dal pubblico per l’All-Star Game di Chicago.
Il numero 4 giallo-viola, guardia texana di lontane origini italiane, è diventato un eroe di culto per i tifosi dei Lakers, che lo hanno adottato come un beniamino, apprezzando l’energia e l’intensità che mette in campo a ogni partita.
Capitato nella squadra più glamour della NBA, al fianco di maschi alfa come LeBron James e Anthony Davis, ma anche DeMarcus Cousins e Dwight Howard, Caruso si è distinto per la sua esplosività, la durezza difensiva e le schiacciate che fanno esplodere lo Staples Center.
Alex, di fatto, è un comprimario in una squadra di star che deve ritagliarsi il suo ruolo specifico. Ha il fisico e l’aspetto di un ragazzo “normale”, non certo da divo hollywoodiano, con quel colorito lattiginoso, l’imperversante calvizie e la fatica a mettere su muscoli. Eppure, si è meritato un murale a Los Angeles: in fondo, è pur sempre la città ideale per rendere possibile l’impossibile.
Alex Caruso su Melrose Avenue
Los Angeles, West Hollywood, Melrose Avenue. Uno dei cuori pulsanti dello shopping di questa zona della metropoli californiana. Nelle vicinanze campeggiano i murales di Kobe Bryant e Kawhi Leonard. Su un lato dello Sportie L.A., negozio di articoli sportivi, giganteggia invece lui: Alex Caruso.
L’opera è firmata da Gustavo Zermeno Jr. Su uno sfondo scuro, Caruso svetta con la palla in una mano librandosi in aria per affondarla nel canestro. Di fronte a lui, in basso, uno stellare quintetto della Western Conference tenta invano di fermarlo: Jamal Murray, James Harden, Devin Booker, Kawhi Leonard e Luka Doncic.
Per la guardia dei Lakers è un onore incredibile: di solito, queste opere di street art si dedicano ai giocatori-simbolo, spesso spalleggiati da grossi sponsor, non a onesti mestieranti che devono sudarsi ogni minuto concesso loro nella lega più competitiva del mondo. Tanto che lo stesso Caruso, non appena ha visto se stesso nella stessa immagine con quei giocatori là, ha subito pensato che fosse un fake.
Il lavoro di Zermeno, oltre che seguire l’onda trendy del Caruso superstar, vuole in ogni caso celebrare l’esempio di un giocatore tutt’altro che predestinato che, con il lavoro duro e sfruttando le occasioni, è riuscito ad arrivare al top: giocare in NBA con i Lakers, al fianco di gente come LeBron e AD, diventando l’idolo delle folle nella città del cinema e dello spettacolo.
“L’ho dipinto mentre schiaccia sui migliori giocatori a ovest – spiega l’artista – perché noi dei Lakers ora siamo i numeri uno e perché inoltre tutto ciò dimostra che non hai necessariamente bisogno di essere strapagato per essere riconosciuto per il contributo che porti alla squadra. Caruso sembra un ragazzo normale, molto simpatico e umile, per affabilità mi ricorda un po’ Lamar Odom“.
Un GOAT della porta accanto
A prima vista, Alex Caruso sembra uno di quei ragazzi che a scuola, seppur non abbiano i numeri per far parte del gruppo dei “fighi”, riescono ad essere ugualmente accettati e apprezzati dai capibranco per la loro energia ed esuberanza.
Anzi, finiscono persino per diventare oggetto di attenzioni non richieste, come quando qualcuno ha fatto circolare in rete una foto ben modificata con Photoshop che mostrava Alex con muscoli pompatissimi: la NBA, tratta in inganno, gli ha fatto fare un controllo antidoping…
LeBron James, in un post, non ha esitato a definirlo addirittura GOAT (acronimo di Greatest of All Time): goliardia a parte, il 23 ha riconosciuto l’importanza di Caruso per tutte le cose che mette in campo, dalla difesa alla gestione della palla.
In una città “drogata” di star-system, la gente ha finito per eleggere a proprio preferito un “ragazzo della porta accanto”. Come si dice in questi casi, se solo sapessero la strada che ha dovuto percorrere per arrivare fin lì…
Da Texas A&M alla NBA
Alex Caruso ha giocato al college per quattro anni a Texas A&M. Praticamente ha fatto l’università a casa, dal momento che è nato e cresciuto a College Station. Con gli Aggies si distingue soprattutto per assist e palle rubate, segnando appena 8 punti di media. In particolare, di quella squadra si ricorda una pazzesca rimonta nel Torneo NCAA 2016, con uno svantaggio di 12 punti rimontato in 44″ ai danni di Northern Iowa.
Ma il college è una cosa, il professionismo un’altra: nessuna squadra NBA lo sceglie al Draft 2016 e finisce a giocare la Summer League con Philadelphia. Strappa un accordo con gli Oklahoma City Thunder, che lo spediscono nell’allora D- League all’affiliata Blue. Niente di eccezionale: nessuno gli pronostica una vera carriera NBA. Nell’estate 2017 è di nuovo in campo nella Summer League, stavolta con i Lakers, insieme a Lonzo Ball, Josh Hart e Kyle Kuzma. Mentre per i primi assicurarsi un contratto è una formalità, a Caruso viene proposto soltanto un two-way contract con i South Bay Lakers, diventando il primo di sempre a beneficiare di questa nuova soluzione.
Un anno più tardi, Caruso si guadagna la permanenza nel giro dei Lakers, tra G League e NBA, con la stessa tipologia contrattuale. Le sliding doors si aprono a suo favore nella primavera del 2019: con la squadra fuori dalla corsa ai playoff e diversi elementi messi a riposo o infortunati, tra cui lo stesso LeBron James, Alex firma una serie di belle prestazioni tra cui un career high di 32 punti in una vittoria sui Clippers. In estate la dirigenza Lakers gli offre un biennale da 5,5 milioni di dollari: rispetto alle poche migliaia mensili che prendeva in G League, è la svolta.
“Sono cresciuto con un’educazione religiosa – afferma Alex Caruso – Crescendo e incontrando tanta gente, sono arrivato a credere che ogni cosa succede per una ragione. Non ci sono coincidenze. C’è una ragione per cui tornavo ogni volta in G League e crescevo e miglioravo me stesso mentalmente e fisicamente. Quando ho avuto la mia occasione di giocare più minuti al termine della scorsa stagione NBA, sono stato capace di mostrare quanto fossi cresciuto, e ha funzionato. Quando sono in campo cerco di pensare soltanto a giocare, senza permettere alla paura e all’ansia di condizionarmi. Ho giocato a basket per tutta la mia vita, amo questo sport e cerco ogni volta di non pensare che sono in NBA e sto giocando allo Staples. Gioco e basta“.