Per parlare di playground ad Harlem, probabilmente un’intera bibliografia non sarebbe sufficiente. Tra il sudore e i rimbalzi sull’asfalto, numerosi campioni della pallacanestro d’oltreoceano e uomini comuni hanno trovato nel basket un riscatto e un nuovo inizio.
La palla a spicchi è diventato uno strumento di rivendicazione dei propri diritti e della propria identità. Harlem, per raccontarla, bisogna viverla. Esplorarne ogni strada e ogni campetto, dai più celebri ai meno noti.
I playground di Harlem: St Nicholas Park
Dopo tre viaggi a New York fra il 2010, il 2014 e il 2018, mio malgrado non avevo ancora fatto tappa ad Harlem. Vivendo a Brooklyn, sapevo che mi avrebbe atteso un viaggio lungo e svariati cambi di subway. Ero impaziente di conoscere da vicino i segreti di questo neighborhood. Prima di partire per gli Stati Uniti, avevo letto un articolo sui playground nella Grande Mela. Il pezzo era datato 2017 e faceva riferimento a un campetto panoramico su St Nicholas Park.
Dopo oltre un’ora di metro alle prime ore del mattino, ho raggiunto con la linea C la fermata 125th Street. Pochi metri a piedi e mi sono trovata su St Nicholas Terrace. Il campetto è posizionato su una terrazza sopraelevata all’interno del parco. Purtroppo a quell’ora perdeva parte del suo fascino, dato che essendo mattina, il campo era completamente deserto.
Il tempio: Holcombe Rucker Park
Inutile dire che la seconda tappa non poteva che essere il tempio dello streetball a livello mondiale: Holcombe Rucker Park. Faccio una premessa: sono stata sola in ogni tappa e ho voluto assaporare l’essenza della hoop culture, senza distrazioni e sollecitazioni esterne. Ed è stato così anche per Rucker Park, nonostante alcune persone mi avessero raccomandato di non partire in solitaria.
La linea C mi ha portata fino alla 155th Street e ascoltando Fly Like An Eagle di Seal ho percorso il ponte sulla W 155th Street. Dopo un piccolo dislivello e una rampa di scale, Rucker Park era finalmente a portata di mano. Passato il cancello di ingresso si percepisce un’energia fortissima e, anche se non ci sono i campioni di ieri e oggi, sembra che il tempo si sia fermato. La mente corre a Kareem Abdul-Jabbar, Nate Archibald o ancora Connie Hawkins, “Dr J” o Stephon Marbury, leggende che qui hanno lasciato un segno indelebile.
Ho osservato un bambino, non avrà avuto più di sette anni. Era circondato da ragazzi mediatamente di quattro o cinque anni più grandi. Era impavido e con una grinta inusuale per quell’età, tentava con ogni mezzo di rubare la palla. Chissà, magari tra tredici anni sarà il prossimo pick #1 al Draft NBA: chi può dirlo? Rucker Park è il luogo che ha infiammato il desiderio di emergere di tanti afroamericani, un luogo dove tutto era e forse è ancora possibile.
Cherry Tree Park, tra arte e basket
Prima di rincasare, rimaneva un’ultima tappa nel mio programma: Cherry Tree Park. Ho preso la linea verde fino alla fermata su 103 St. Prima di raggiungere the last playground of the day, ho fatto uno stop allo store di Snipes sulla 3rd Avenue. L’edificio è iconico per un capolavoro realizzato da MADSTEEZ sulla facciata. L’artista ha riprodotto alcuni tra i modelli più celebri di sneakers, appesi a un filo della luce.
Pochi passi dopo Cherry Tree Park era finalmente di fronte a me. La particolarità di questo campetto è la parete di El Barrio PS109, una comunità che ospita 89 artisti e le rispettive famiglie. Il graffito è stato creato dall’artista Nicolas Romero Escalada, un omaggio alla comunità portoricana a East Harlem.
Un’altra giornata stava per volgere al termine, le gambe a pezzi eppure altre mille cose da fare. È l’energia di New York, quella forza totalizzante che ti porta a fare ciò che altrove non avresti nemmeno il coraggio di pensare. Perché come canta Frank Sinatra “if I can make it there, I’ll make it anywhere”.