Curry Brand e Under Armour nel basket

Con la nascita del Curry Brand, presentato tra novembre e dicembre 2020, Under Armour cerca il rilancio nel basket e non solo.

Il varo del marchio personalizzato di Steph Curry sembra emulare ciò che Nike fece con Michael Jordan, seppur con molte differenze. La speranza, tuttavia, è la stessa: che l’enorme popolarità del leader degli Warriors possa trainare la risalita della casa di Baltimore.

Negli ultimi anni, infatti, Under Armour ha avuto a che fare con varie difficoltà, acuite dalla pandemia: calo di vendite e appeal (soprattutto presso i teenager), licenziamenti, indagini FBI, scandali. Problemi che hanno ridimensionato il successo con cui il brand era riuscito a ritagliarsi un posto tra i giganti dell’abbigliamento sportivo.

curry brand steph stephen under armour

Curry Brand: l’asset è Steph

Stephen Curry è il volto indiscusso di Under Armour nel basket. Non l’unico: ci sono Joel Embiid, Mo Bamba, Patty Mills, il fratellino Seth Curry e altri. Ma il vero asset è Steph, punto.

A proposito di asset, non si sa se davvero Under Armour abbia rischiato di perderlo per quel battibecco del 2017 tra lui e Kevin Plank (ex CEO nonché fondatore). Plank aveva esternato un apprezzamento pubblico a Donald Trump, definendolo “a real asset for the country” (una vera risorsa per il paese). Al che Curry, non proprio un estimatore del presidente uscente come più o meno tutte le star NBA, aveva sarcasticamente commentato: “A real ass” (un vero stronzo), causando qualche grattacapo diplomatico all’azienda.

Al di là del siparietto mediatico, non è da escludere che la situazione di Under Armour abbia fatto venire qualche dubbio al giocatore e al suo entourage sull’opportunità di proseguire il rapporto. Curry ha 32 anni, è ancora nel prime, è attesissimo a un ritorno in campo in grande stile dopo la sciagurata stagione 2019-20: ora più che mai ha bisogno di massimizzare, dentro e fuori dal campo, il suo potenziale di atleta planetario.

Così Under Armour, di fronte alla prospettiva di perdere il suo uomo più importante, ha scelto di andare all-in su di lui a tal punto da dedicargli un intero brand: il massimo possibile.

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La responsabilità sociale

L’accordo tra Steph Curry e Under Armour prevede una forte componente sociale del Curry Brand. Il numero 30 ha cambiato il basket sul parquet: ora vuole farlo anche all’esterno. Una percentuale dei ricavi annuali sarà infatti investita in progetti per incentivare e avvicinare bambini e ragazzi alla pratica sportiva, nelle comunità più povere difficili. Come? Coinvolgendo sistemi scolastici e organizzazioni locali.

Obiettivi dichiarati entro il 2025: creare almeno 20 campi e palestre sicuri; sostenere 125 programmi di sviluppo sportivo per 100.000 ragazzi e ragazze; formare 15.000 coach. Si inizia da Oakland, la città fino al 2019 casa degli Warriors (oggi giocano al Chase Center di San Francisco), e che Steph ha fatto sognare. E ora, da ragazzo sempre sensibile a queste tematiche, vuole restituire qualcosa partendo dai più giovani, per rendere lo sport migliore e accessibile a tutti: Change the game for good (cambiare il gioco una volta per tutte) è uno dei claim ufficiali del Curry Brand.

Giocare è una parte fondamentale dell’infanzia e va messo al centro dello sviluppo – ha detto – Lo è così tanto che io sono quel che sono oggi proprio perché da bambino praticavo sport. Attraverso lo sport ho imparato il valore del lavoro duro, a reagire alle difficoltà, a giocare di squadra, a comunicare, a gestire il tempo“.

Il logo è ispirato al gesto con cui Curry celebra un canestro da tre punti, ma ha anche la forma di un’ala, per volare alto. La composizione include anche le iniziali del giocatore, S e C. Curry Brand mette sul mercato scarpe e abbigliamento per il basket ma anche per altre discipline come golf e atletica e l’11 dicembre 2020 è stata lanciata negli USA la Curry Flow 8.

curry flow 8 under armour

La storia di Under Armour e l’approdo al basket

Under Armour non nasce come brand di basket, ma ha radici nel football americano. Viene fondata nel 1996 da Kevin Plank, che giocava al college a Maryland. Il nome stesso (“sotto armatura”) richiama l’equipaggiamento del giocatore di football. L’idea: produrre abbigliamento traspirante e resistente a intensa attività e forte sudorazione.

Gli inizi e l’ascesa somigliano a quelli di molte startup diventate brand globali: dal seminterrato di sua nonna a Washington fino al quartier generale di Baltimore; dai primi accordi con atleti pressoché sconosciuti ai grandi nomi che fanno da cassa da risonanza al brand. Ad esempio nel 1999 fornisce il materiale tecnico per il film Ogni maledetta domenica. Man mano Under Armour si espande anche ad altri sport e oltre i confini degli Stati Uniti.

Il successo assume proporzioni notevoli e tutto sembra andare verso la nascita di un nuovo colosso in grado di battagliare con Nike e Adidas. Almeno fino alle difficoltà degli anni più recenti. Dal 2019 il CEO è Patrik Frisk.

Nel 2013 sono messi sotto contratto i primi giocatori NBA. Tra loro c’è Stephen Curry, allora stella in rampa di lancio. Lo corteggiano come Nike aveva fatto con Michael Jordan: avvicinando prima le persone della sua cerchia, quelle che ascolta di più. Così diventa l’uomo di punta di UA e, secondo Forbes, avrebbe portato finora all’azienda un valore di 14 miliardi di dollari. Il lancio del Curry Brand diventa infine un nuovo tentativo, da parte dell’azienda di Baltimore, di tornare ai fasti di qualche anno fa e di conquistare uno spazio importante nella pallacanestro.

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