La lunga estate dei giocatori NBA. Per quelli che non si qualificano ai playoff, comincia da metà aprile. Per i finalisti NBA, da metà giugno. In ogni caso, le vacanze durano fino a settembre inoltrato, roba da fare invidia a un ragazzo della scuola dell’obbligo.
Su una cosa non si discute: l’allenamento. I giocatori NBA d’estate lavorano duro, per migliorare sempre di più. Ma tra una sessione in palestra e l’altra, c’è tanto tempo libero per vacanze, tour promozionali, comparsate, post sui social. Per non parlare, poi, degli ex giocatori, alcuni dei quali sono tuttora capaci di dominare la scena.
Infine, oltre ai vorticosi movimenti che hanno interessato l’ultima free agency, d’estate può succedere davvero di tutto: anche che un miliardario decida di acquistare una franchigia NBA con due anni d’anticipo…
Ecco qui una selezione di 10 tra i momenti più interessanti dell’estate NBA, tra il serio e il faceto, tra il toccante e la notizia da approfondire.
I Taco Tuesday di LeBron James
King James, se mai ce ne fosse bisogno, si conferma re dei social. E del marketing. Video nati per divertimento, nelle serate con famiglia e amici dedicate alle note tortillas messicane, e diventati virali. L’istinto di LeBron per il business lo ha spinto a chiedere la registrazione del marchio Taco Tuesday, attraverso la sua società LBJ Trademarks. Ma, come sembra, soltanto nell’ambito di social media, podcast, blog e siti web. Perché Taco Tuesday – che negli USA è una sorta di tradizione culinaria, come il “giovedì gnocchi” in Italia, per intendersi – è già stato registrato da varie imprese di vari settori. A partire dalla catena di ristorazione Taco John’s, fino a marchi di abbigliamento, merchandising di più generi e addirittura materiale elettrico.
Le lacrime di Jeremy Lin
Dalla Linsanity di New York nel 2012 all’emigrazione nella lega professionistica cinese, sette anni dopo. In mezzo, un viaggio da comprimario NBA passato da Houston, Lakers, Charlotte, Brooklyn, Atlanta e Toronto. La ciliegina sulla torta: l’anello di campione con la franchigia canadese. Jeremy Lin, laureato ad Harvard, ha forse massimizzato tutto quello che era nelle sue corde. E si è ritrovato, questa estate, free agent snobbato da tutte le squadre. Una situazione sofferta. Tanto che in un’intervista ammette, in lacrime, che la sua carriera NBA potrebbe essere finita. Poco dopo accetta l’offerta dei Beijing Ducks. Un ritorno in Cina? Non proprio. Perché Lin è statunitense e le sue origini sono peraltro taiwanesi, l’altra Cina, quella nemica di Pechino.
Booker d’estate non vuole i raddoppi
Partitella di allenamento agli ordini del trainer Chris Johnson. Sul campo Devin Booker e altri NBA tra cui Ben Simmons, Tony Snell, Trey Lyles e Joakim Noah. La giovane star dei Phoenix Suns si vede arrivare un raddoppio in angolo e la prende male. Sbotta così verso Noah, cioè colui che stava orchestrando la difesa: Booker sostiene che non si fanno raddoppi difensivi in allenamento, perché a suo dire deve già farci i conti per tutta la stagione. Noah ovviamente non è dello stesso parere: si raddoppia eccome, fa parte del gioco. Il diverbio finisce lì, ma si sa che nell’era dei social tutto viene portato alla luce del sole e diventa fonte di dibattito. Così vari giocatori NBA hanno preso le parti di Booker o di Noah, con i veterani più propensi a dare ragione al secondo…
Tsai si è comprato i Nets
A proposito di taiwanesi. Joseph Tsai, nato a Taipei e di cittadinanza canadese, si è comprato tutti i Brooklyn Nets. E, già che c’era, pure il Barclays Center. Business can’t wait: così Tsai, co-fondatore di Alibaba, ha anticipato di due anni l’acquisizione del club di cui già deteneva il 49% delle quote, inizialmente prevista per il 2021. Ha colto l’attimo: dal punto di vista sportivo, i Nets sono tornati competitivi nel giro di pochi anni grazie a un’intelligente gestione da parte del GM Sean Marks. E nutrono ora ambizioni da titolo con l’arrivo di Kyrie Irving e Kevin Durant (quando rientrerà). Esce così di scena il russo Mikhail Prokorov: sarà ricordato come il proprietario del “tutto e subito”, le cui ambizioni sono naufragate con la famigerata trade del 2013.
Shaq dj a Cagliari. E non solo
A fine luglio, la mole di Shaquille O’Neal è sbarcata in Sardegna. In versione DJ Diesel, suo storico soprannome, in tour per le discoteche di mezza Europa. Alla consolle dell’Operà Beach Arena di Quartu Sant’Elena, nell’ambito dell’evento Poetto On Air, Shaq è stato protagonista assoluto della serata: non si è limitato a essere solo The World’s Biggest Dj, ma è sceso anche in pista ballando con i presenti, i quali in gran parte non gli arrivavano neanche all’altezza delle spalle… Niente male per un quarantasettenne! Non solo disco, però: ha incontrato molte persone, tra cui una squadra di basket composta da ragazzi con disabilità intellettive, la Polisportiva Olimpia Onlus, di cui ha imparato a memoria tutti i nomi. Shaq, un personaggio inimitabile.
Harden tira da tre su un piede solo
James Harden senza limiti: starebbe imparando a tirare da tre su un piede solo. E ne ha documentato i progressi nel video di un allenamento. Il nuovo gesto tecnico fonde quello che ormai è il suo signature shot, la tripla in step back, e un movimento che Dirk Nowitzki ha sublimato con il suo fade away. Il Barba si considera un creativo, un innovatore, e non disdegna qualsiasi nuova strada da percorrere per migliorare il suo gioco e renderlo sempre più imprevedibile. Sicuramente molto meglio dei suoi stentatissimi palleggi a calcio all’Emirates Stadium, lo stadio londinese dell’Arsenal, dove con Adidas è stato il testimonial della nuova maglia da trasferta del club inglese.
Anthony Davis prende il 23… ah, no.
Nelle intenzioni originali, LeBron James voleva cedere il 23 ad Anthony Davis e riprendere il 6 con cui aveva vinto due titoli a Miami. Il passaggio di consegne del numero 23 era stato pure immortalato su Instagram, in un anonimo parcheggio di periferia. Per una volta, però, LeBron ha fatto i conti senza l’oste: la richiesta del cambio di numero, effettuata dai Lakers alla NBA, è arrivata fuori tempo massimo, e di parecchio, dato che il termine era scaduto il 15 marzo. Poi ci si è messa la Nike, che avrebbe dovuto ritirare dal mercato mondiale milioni di canotte giallo-viola con il 23 di James. Insomma, niente da fare. C’è tempo per ragionarci fino al 15 marzo 2020. Il 23 torna sulle spalle del Re, mentre Davis ha preso il 3, suo primo numero da bambino.
Ibaka e il Larry O’Brien Trophy al ristorante
From begging leftovers 15 years ago to coming back as an NBA Champhion to eat a full meal at the same restaurant in Congo. Sometimes life is like a movie and this script is written by God only… #anythingispossible pic.twitter.com/4bBQzTRa1x
— Serge Ibaka (@sergeibaka) 12 agosto 2019
C’è stato un giorno di agosto in cui il Larry O’Brien Trophy ha fatto la sua apparizione a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, l’ex Congo francese. Da non confondere con la Repubblica Democratica del Congo, l’ex Zaire e Congo belga. Brazzaville è la città natale di Serge Ibaka, campione NBA con i Toronto Raptors. Anche se, grazie alla doppia cittadinanza, è diventato nazionale spagnolo. In un video su Twitter, si vede Ibaka pranzare in un modesto ristorante con accanto a sé il trofeo. Il giocatore spiega che quindici anni prima, nello stesso ristorante, era solito venire per elemosinare qualche avanzo. E che qualche volta la vita sembra un film, con Dio autore della sceneggiatura. Un campione tra la sua gente. Chapeau, Serge.
Il look di Kyle Kuzma
Ohibò, antica espressione di disapprovazione stupore cara al Manzoni e a Topolino. Si addice a ciò che potrebbero aver benissimo pensato diversi giocatori NBA, tra cui Donovan Mitchell, Anthony Davis, Isaiah Thomas, Jayson Tatum, decisamente esterrefatti quando sul feed di Instagram è comparso un selfie allo specchio di Kyle Kuzma. Il giocatore dei Los Angeles Lakers sfoggia felpone e pantaloni larghissimi, occhiali da sole, sneaker arancioni e capelli ossigenati che fanno molto anni ’90. Un look che a qualcuno ha ricordato le prime versioni degli NSYNC, la boy band fondata nel 1995 da cinque ragazzi uno dei quali era Justin Timberlake. Seppur gentilmente invitato a desistere, Kyle Kuzma ha difeso con decisione la sua scelta di moda.
Kobe e Shaq, ancora loro
Ancora Los Angeles Lakers, d’altronde sono o non sono loro la squadra di Hollywood? E ancora, udite udite, Kobe & Shaq. O Kobe vs Shaq, se preferite. La telenovela infinita tra due nemici-amici ancora capaci di dominare la scena. Kobe Bryant se ne esce così: “Se avesse avuto la mia etica del lavoro, io e Shaq avremmo vinto 12 titoli“. La risposta di Shaquille O’Neal non si fa attendere: “3 volte MVP delle Finals, 4 titoli NBA: niente male per uno che non si è mai allenato“. Cari Kobe e Shaq, non preoccupatevi del numero di titoli: quelli che avete vinto hanno fatto la storia del basket e ci hanno regalato emozioni indelebili. E questo è quanto basta.