Vivere nel South Side di Chicago nel bel mezzo degli anni ’80 era decisamente pericoloso, considerando il tasso di criminalità e uccisioni da arma da fuoco che ne determinavano il perimetro. C’erano le gang, c’era il crack, c’erano tanti problemi che spesso ritroviamo nel contorno di chi ce l’ha fatta in NBA, malgrado tutto.
Ma se come dice il Poeta “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”, in quel tempo alla Simeon High School emerge un tale Ben Wilson (per tutti Benji), cestisticamente con una marcia in più rispetto ai tanti competitor di Stato e oltre. E il suo nome attira da subito le attenzioni delle alte sfere.
Vestendo la maglia numero 25, conduce i suoi a un titolo statale ricoprendo il ruolo di superstar e finendo tra i prospetti top statunitensi del tempo, con un futuro di successo già scritto, dapprima al college e poi in NBA. In una città che ha un rapporto morboso con la pallacanestro – dalla quale erano usciti talenti come Maurice Cheeks, Mark Aguirre e Isiah Thomas – Benji Wilson è già The Chicago’s Finest nel 1984, e la sua intenzione è condurre la Simeon al secondo titolo consecutivo prima di prendere il volo, passando alla storia dell’Illinois.
Per far questo, convince un caro amico chiamato Nick Anderson a unirsi a sé, dando la caccia a un back-to-back dal sapore leggendario.
In quell’estate che precede l’avvio di stagione, Benji diviene pure padre, vivendo un periodo piuttosto tormentato con la giovane compagna Jetun, proprio in conseguenza del parto. Una situazione che vuole decisamente recuperare, determinato a prendersi quelle responsabilità che possono spaventare un diciassettenne qualsiasi, figuriamoci la star dell’Illinois proiettata verso un futuro di successo sportivo.
La mattina del 20 novembre 1984, Benji esce di casa con due obiettivi ben chiari in mente: risolvere le questioni con la compagna Jetun e prepararsi all’esordio stagionale, la prima gara di un campionato in cui potrà giocare a fianco dell’amico Nick.
A poche centinaia di metri dalla scuola, mentre sta discutendo animatamente con la madre di suo figlio, Ben Wilson si scontra con un (quasi) coetaneo che sosta al bordo di un market.
Quel ragazzo si chiama Billy Moore, vive in un quartiere di gang e gira con una pistola carica nei pantaloni. Soprattutto è arrabbiato con il mondo, dopo la perdita prematura del padre. I due si scontrano, Benji è alterato per la discussione e volano brutte parole: non si conoscono, ma nessuno vuole fare un passo indietro. Moore si apre il giubbotto, mostra la pistola al rivale occasionale, Ben Wilson lo guarda con fare provocatorio: “Vuoi spararmi?” gli dice. L’altro fa partire due colpi.
In pochi minuti arriva tutta la scuola: Benji è amato e conosciuto in tutto l’istituto, anche e soprattutto per i suoi successi cestistici. L’ambulanza, invece, arriva un po’ più tardi, e la quantità di sangue che esce dai due buchi che Wilson si ritrova nel corpo non rende semplici i soccorsi. Sembra una lotta contro il tempo, The Chicago’s Finest viene operato nel modo più urgente possibile, ma la situazione si complica nella notte e il cuore cessa di battere.
La sua morte diviene un pretesto di rivendicazione per un quartiere tormentato dagli omicidi, per una parte di città esasperata dalla violenza. La spettacolarizzazione dell’accaduto viene cavalcata dal reverendo Jesse Jackson, e altre figure di spicco della Chicago Black si mettono in mostra ai funerali. Persone che probabilmente ignoravano l’esistenza sia di Benji sia di tanti altri che, come lui, erano stati accomunati da un destino tanto crudele.
La Simeon scende comunque in campo nella commozione generale, Nick Anderson esordisce e la guida alla vittoria: giocherà per la University of Illinois prima, e nella NBA poi, portando sulla schiena il numero dello sfortunato amico, il 25. Lo stesso che viene dapprima ritirato dalla sua high schoole e poi destinato ai giocatori più valevoli negli anni a seguire. Lo vestirà Derrick Rose, altro figlio prediletto della città del vento, mentre Jabari Parker se lo farà incidere sulle scarpe, in memoria di una storia destinata a scuotere gli atleti anche molti decenni a venire. E quel Nick Anderson sembra aver ereditato il successo previsto per Benji Wilson, portandolo sempre con sé. Nel 1989 diviene la prima scelta di sempre per la franchigia degli Orlando Magic, che lo selezionano con la pick numero 11 nella loro stagione di esordio nella lega.
L’epopea di Ben Wilson viene perfettamente raccontata nel documentario Benji, prodotto da ESPN all’interno della serie 30 for 30, diretto da Coodie and Chike.
Un lavoro che restituisce la luminosità di un prospetto mai sbocciato, vittima di una casualità figlia a sua volta di un clima di violenza che troppo spesso ritroviamo nei racconti di certi quartieri, nelle grandi città statunitensi di quegli anni.
Lo fa attraverso le poche immagini a disposizione per descrivere il talento di Wilson in campo, raccogliendo i racconti di parenti e amici, tra i quali appare anche il già citato Nick Anderson, che in una autentica sliding door decisiva per la sua carriera, diventerà “Nick The Brick” dopo uno zero su quattro dalla lunetta in gara 1 delle NBA Finals 1994 perse contro Houston. Segnando anche il futuro di Orlando. Ma questa è un’altra storia.
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