Quella del titolo nazionale di North Carolina State nel 1983 è una delle storie più affascinanti della pallacanestro statunitense.
Un’impresa unica nel suo genere, che “inventa” la March Madness NCAA per come la concepiamo oggi, e che trasforma il concetto di underdogs in realtà, tracciando un esempio destinato a funzionare da riferimento futuro. Tra l’altro, collegata a filo diretto con la figura di un coach mitologico, ricordato per le sue capacità di motivatore, mentalmente capace di infondere una carica mai così decisiva: Jim Valvano.
L’uomo che allenava i suoi ragazzi nel tagliare le retine dei canestri – perché “prima o poi ci toccherà vincere, e dovremo saperlo fare” – dall’attitudine vulcanica del naturale intrattenitore, protagonista di battaglie in campo e fuori, per un destino ingrato. Dietro di lui, una squadra che troppo spesso viene rammentata come debole a sproposito, composta da grintosi specialisti con qualche sprazzo di talento cristallino, come quello di Thurl Bailey e Sidney Lowe, ma soprattutto con due figure regalate, per motivi differenti, all’immortalità: Lorenzo Charles e Dereck Whittenburg.
Osservatela bene – aiutandovi con le immagini di repertorio su YouTube oppure guardando il documentario dedicato da ESPN nella serie 30 for 30 intitolato Survive and advance – quella versione dei Wolfpack della stagione 1982-83.
Non era così scarsa in campo, soprattutto quando si muoveva all’unisono. Non era sicuramente la più talentuosa del lotto, però. Soprattutto se consideriamo le squadre della Atlantic Coast Conference della quale faceva parte, guardando anche ai singoli che facevano il bello ed il cattivo tempo nei campi collegiali, destinati ad un futuro radioso nella NBA. Michael Jordan, Hakeem Olajuwon, Patrick Ewing, Clyde Drexler, Ralph Sampson, Chris Mullin: questi, c’erano tutti. Ed erano già qualcosa di più, rispetto agli altri.
Ma nessuno aveva in panchina un sognatore come Jimmy Valvano, convinto di avere una chance di vincere sempre e contro chiunque, che l’impossibile non esiste quando lotti per qualcosa che desideri. Non era Dean Smith o Bobby Knight. Veniva sostanzialmente dal nulla e senza credito, eppure di lì a poco avrebbe dimostrato di poter stare tra i più grandi di sempre, semplicemente allenando la mente di un gruppo proletario, determinato, splendido.
Nella stagione 1982-83, NC State accumula 10 sconfitte stagionali, e malgrado i sogni (e le retine tagliate in allenamento), la sua partecipazione al torneo NCAA dipende dalla conquista del torneo della ACC. Non facile, considerando gli oppositori. E invece la pazzia di Valvano inizia da lì, con una cavalcata di 9 partite consecutive vinte da assoluti e perenni sfavoriti.
Come fare a raggiungere la Final Four partendo dall’imperativo di vincere un torneo ACC, che definir proibitivo è usare un eufemismo?
Survive and advance, sopravvivere e andare avanti, una gara per volta. È questo quello che Valvano dice ai suoi, che incredibilmente riescono in rimonte paradossali, in una epoca dove le regole del college basketball erano differenti da quelle odierne. Ad esempio, non c’è un tempo determinato per concludere l’azione offensiva: in quel caso, rimontare 6 punti in meno di due minuti (come avviene nella sfida a Jordan e alla sua UNC) diviene tecnicamente impossibile.
Anche se l’impossibile non esiste, e Valvano è lì per dimostrarlo, abbracciando i suoi giocatori come figli e rispondendo con sorrisi ed entusiasmo al mondo che lo guarda con scetticismo. Il miracolo prende forma di vittoria in vittoria, scontro diretto dopo scontro diretto, con Bailey, Whittenburg e Charles che guidano nei momenti chiave quella che diviene la “squadra del destino”, fino alla gara per il titolo nazionale contro Houston.
Sì, quei Cougars del Phi Slama Jama – la confraternita della schiacciata – condotti da prestazioni mostruose di Hakeem Olajuwon e Clyde Drexler. Come pensa di fermare Houston coach Valvano? Non ne ha la minima idea, come dichiara nella conferenza stampa nel pre-partita, con tutta l’America convinta di gustarsi un massacro televisivo di proporzioni epiche.
“Se vinceremo la palla a due lunedì sera, prenderemo il primo tiro probabilmente martedì mattina” commenta l’ istrionico Jimmy, mentre i giornalisti se la ridono di gusto per la battuta. E invece la storia la scrivono quegli ultimi secondi sul 52 pari, con la preghiera di Dereck Whittenburg allo scadere, destinata a non prendere neanche il ferro ma raccolta in volo da Lorenzo Charles, che la schiaccia nel canestro per decretare la vittoria più incredibile nella storia del college basketball. Nella partita ricordata come la più entusiasmante di sempre.
Nell’estate 2011, a distanza di quasi trent’anni dall’impresa, è proprio Whittenburg ad incontrare Jonathan Hock, regista della produzione ESPN: vuole fissare quella storia in un documentario, riunendo i compagni di quei giorni, consapevole di non poter rivedere coach V, scomparso per un cancro a dieci anni dal titolo.
Appena due giorni dopo aver concordato le date delle riprese, Lorenzo Charles muore tragicamente in un incidente stradale, alla guida di un autobus nei pressi di Raleigh. Lui, autore del canestro più importante nella storia delle Final Four, visto anche in Italia in una carriera giramondo, che lavora come autista, dimenticato dal mondo del basket fino alla sua tragica conclusione. Dereck e i suoi compagni, adesso, non si riuniscono più per commemorare il successo che fu, ma per piangere la perdita del suo più diretto artefice, seppellito a pochi metri da coach Valvano nel cimitero di Oakwood in North Carolina.
Il prodotto cinematografico diviene così ad alto tasso emozionale, come se non bastassero le immagini di quelle rimonte storiche, e il volto di Valvano che lotta con il destino fondando la V Foundation for Cancer Research, che nella sua ultima apparizione televisiva agli ESPY Awards regala le ultime massime tra la commozione generale.
“Non mollare, non mollare mai” è la sua eredità definitiva lasciata al mondo, prima di acquietarsi sotto una lapide, ancora oggi meta di pellegrinaggio. Come già detto, non troppo lontana da quella di Lorenzo Charles, uno dei suoi figli prediletti amati alla follia, accomunato con il suo mentore in un destino ingrato. Per uno dei documentari più toccanti mai realizzati, per la serie 30 for 30 di ESPN.
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