Kevin Garnett racconta se stesso in Senza filtro, scritto con David Ritz e uscito in Italia nel 2022 per Libreria Pienogiorno. È il secondo libro di basket della casa editrice dopo King di Davide Chinellato su LeBron James. Un altro che, come KG, saltò il college passando direttamente dal liceo alla NBA.
Per questa autobiografia si è scelta la formula “dalla A alla Z”. E infatti il titolo originale è KG A to Z. Il volume è composto da capitoli contrassegnati dalle lettere dell’alfabeto. I paragrafi interni sono intitolati con una parola chiave, nell’iniziale corrispondente, che richiama concetti, persone, momenti importanti di vita e carriera di uno dei giocatori di maggior impatto nella recente storia della lega. Un atleta di rara determinazione, che non si è mai tirato indietro di fronte a una sfida.
Kevin Garnett spazia a ruota libera attraverso le tappe del suo percorso. Le origini in South Carolina, il passaggio in tarda adolescenza a Chicago, le 22 stagioni tra Minnesota Timberwolves, Boston Celtics, Brooklyn Nets. Parla della sua famiglia, di rapporti e amicizie con altri giocatori (Kobe, LeBron, Jordan, ma anche Sam Mitchell e lo sfortunato Malik Sealy), celebrità e persone che hanno avuto un ruolo fondamentale per lui. E quindi la NBA vista da dentro, la musica, la spiritualità, il razzismo, le città in cui ha viaggiato.
La storia di un ragazzone di provincia a suo agio anche tra i pericoli della metropoli, che ha saputo mantenersi in carreggiata e costruirsi un’avventura stellare. Facendosi conoscere sì per il trash talking, suo marchio di fabbrica, ma anche per un’intensità e una concentrazione difficili da eguagliare. Il tutto raccontato senza peli sulla lingua, in un linguaggio che non disdegna soprannomi, diminutivi, slang e anche qualche parolaccia quando ci vuole.
Kevin Garnett, o della concentrazione
Kevin Garnett spiega che l’intento con cui si è accinto alla sua autobiografia è quello di realizzare un libro che anche lui avrebbe letto con piacere. Affetto fin da bambino da dislessia e disturbo da deficit dell’attenzione, aveva difficoltà a leggere lunghi periodi e a focalizzarsi. Un fatto per certi versi sorprendente, visto che in seguito diventerà noto proprio per la sua intensità, concentrazione e incapacità di “staccare” con il basket anche fuori dal campo.
Così quella di Senza filtro è una storia che non si sviluppa in ordine cronologico, ma attraverso una serie di flash e fiammate. Un po’ il modo con cui Kevin vive la sua vita. Anche lo stile secco, diretto, rapsodico riflette il carattere del personaggio, che non manca di dispensare preziosi consigli di vita, con spirito positivo e in maniera sempre semplice e senza fronzoli. E una certezza che emerge da ogni pagina: l’unico modo per battere i dubbi e vincere ogni sfida è affrontarli a muso duro, con carattere e determinazione.
Garnett si mette a nudo, parlando a ruota libera di tutto ciò che gli passa per la testa, senza un ordine prestabilito. Non fa sconti a nessuno, neppure a se stesso. Ne esce un libro indubbiamente scorrevole e che tiene svegli, anche se nella traduzione c’è forse qualche errore concettuale di troppo. Ad esempio, in un paragrafo nel testo originale si gioca sul doppio significato della parola screens – “schermi” ma anche “blocchi”, nel gergo del basket – e in italiano non viene reso né specificato in modo ottimale.
Campagna e cemento
Nato a Greenville, South Carolina, e trasferitosi a 17 anni, in seguito a un guaio giudiziario intriso di implicazioni razziali che avrebbe potuto compromettergli il futuro, nella dura Chicago, Kevin Garnett è un uomo che, formatosi dalla combinazione di campagna e cemento, ha forgiato continuamente il proprio carattere attraverso tante situazioni. Ha giocato duro e lavorato sodo, dando sfogo alla sua innegabile iperattività. Un’eccesso di energia competitiva, alimentata da un’irrequietezza di fondo.
Dalla sua vicenda emerge il fatto di essere cresciuto comunque in una realtà afroamericana piuttosto povera, tra famiglie allargate e spesso disastrate e gang di strada sia a Greenville che a Chicago, dove negli anni ’80 la violenza e il crack sono dominanti. La guida sicura è sua madre. Una donna “tosta” che non esita a buttare il figlio nella mischia, per abituarlo a cavarsela da solo. Nel diventare ragazzo di città, fa tesoro di ogni insegnamento restando freddo e lucido. Evita di mettersi nei guai e trova nel basket la propria via.
Ai Timberwolves diventa una delle star più amate. Però solo in un’occasione, grazie ai rinforzi Sam Cassell e Latrell Sprewell, riesce a superare il primo turno dei playoff. Sono anni di speranze e frustrazioni, a caccia di un titolo che resta sempre lontano. Poi, la grande decisione: il trasferimento ai Boston Celtics e l’anello vinto al primo colpo, nel 2008, insieme al suo amico di vecchia data Paul Pierce e a Ray Allen. Una vera e propria squadra in missione agli ordini di coach Doc Rivers. La consacrazione di un giocatore e di un uomo che ha sempre dato il massimo, spingendosi oltre i propri limiti.