L’uomo che raccontava il basket è proprio lui, Sergio Tavčar. Lo storico telecronista triestino di TV Koper-Capodistria e profondo conoscitore della pallacanestro della ex Jugoslavia.
Il libro, pubblicato nel 2022 da Bottega Errante Edizioni, casa indipendente di Udine specializzata in letteratura e saggistica di frontiera (in particolare nord-est italiano ed Europa orientale e balcanica), è la versione aggiornata di un testo dello stesso Tavčar scritto anni fa e intitolato La Jugoslavia, il basket e un telecronista.
Questo volume ci fa comprendere quanto il basket e lo sport possano essere un’efficace chiave di lettura di storia, cultura e mentalità di un popolo. Anzi, di tanti popoli. Perché lo stato che fu di Tito era un coacervo pazzesco di etnie e nazionalità profondamente differenti tra loro.
L’uomo che raccontava il basket ripercorre l’evoluzione della pallacanestro nella ex Jugoslavia, intrecciandosi con le vicende autobiografiche di Tavčar. Nel suo stile diretto e senza fronzoli, l’autore dissemina qua e là aneddoti e testimonianze di notevole rarità. Il tutto in un flusso narrativo che, partendo dallo sport, conduce ripetutamente il lettore a tu per tu con le vicende storiche, politiche e sociali.
Sergio Tavčar e la Jugoslavia
Nato nel 1950 e immerso fin da bambino in una cultura (sportiva e non solo) di confine e di scambio, per oltre mezzo secolo Sergio Tavčar ha seguito da vicino, per lavoro e per passione, la pallacanestro jugoslava, diventandone uno dei massimi esperti.
Fin dalle prime pagine, sfata quei luoghi comuni secondo cui il basket sarebbe qualcosa di “innato” nelle popolazioni balcaniche. Quando invece riuscì a emergere dal rango di sport minore solo verso la fine degli anni ’60, per affermarsi in seguito come movimento di livello mondiale.
Allo stesso modo – questo è forse l’aspetto più importante, nonché lo scopo finale del libro – sottolinea quanto sia sbagliato pensare agli “jugoslavi” come a un blocco unico. Invece, costituivano un incredibile patchwork antropologico la cui unità politica era destinata a non durare. Come poi la storia ha dimostrato con la rapida disgregazione avvenuta dal 1991.
La palla a spicchi è così la cartina di tornasole per evidenziare i profondi sconvolgimenti che hanno interessato quel paese che non esiste più. E per comprendere quali sono stati gli effetti che tuttora si avvertono nello sport locale, tra frammentazioni ogni oltre misura, fughe all’estero dei migliori giovani, carenze economiche, organizzative e strutturali.
Popoli narrati attraverso il basket
Nel libro, Tavčar passa in rassegna i suoi vecchi appunti e tabellini, combinandoli con la propria memoria e con la pluridecennale esperienza di cronista. Ricostruisce così le varie fasi del basket jugoslavo attraverso i migliori club e le vicende della Nazionale in un susseguirsi di Europei, Mondiali e Giochi Olimpici.
L’uomo che raccontava il basket esplica per sommi ma efficaci capi la complessità geopolitica e culturale della ex Jugoslavia. Delinea i tratti peculiari dei tre popoli maggiori (sloveni, croati e serbi) e degli altri (montenegrini, bosniaci, macedoni), a loro volta comprensivi di ulteriori, circoscritte quanto impensabili minoranze interne.
Un’opera che restituisce un quadro generale di cosa ci sia davvero dall’altra parte dell’Adriatico, narrato attraverso il fascino del basket balcanico, così libero, irriverente e orgoglioso, nel bene e nel male. Il tutto in uno stile di scrittura scarno e lineare, arricchito da quei commenti taglienti e tranchant che hanno reso Tavčar un giornalista talora fuori dal coro, ma fedele a un imperativo: dire le cose come stanno, senza retorica.
Generazioni di fenomeni
Il racconto parte dall’alba dei primi giocatori jugoslavi che ebbero rilievo a livello internazionale, Ivo Daneu, Pino Giergia e Radivoj Korac, fino a un campione generazionale quale Kresimir Cosic. Quindi, lo storico oro mondiale del 1970 che mise la Jugoslavia sulle mappe e a seguire straordinari talenti come Skansi, Kicanovic, Dalipagic, Delibasic, visti anche in Italia.
Ritratti di allenatori quali Novosel e Nikolic si alternano alla narrazione di cicli vincenti di squadre come Jugoplastika Spalato e Cibona Zagabria. E non mancano sortite nella pittoresca e tribale Serbia profonda, alle origini di Obradovic e Divac. L’ascesa di Drazen Petrovic fa da preludio alla fenomenale generazione dei vari Kukoc, Radja, Divac, Danilovic, Paspalj, Djordjevic e compagnia, capaci di vincere Mondiali ed Europei un attimo prima della dissoluzione del paese.
In questa riedizione del suo testo, Tavčar ha aggiunto un importante aggiornamento sulla situazione attuale del basket nei paesi della ex Jugoslavia. Un contesto radicalmente cambiato rispetto a trent’anni fa. Tanto che ormai parlare di “scuola jugoslava” non ha più senso.
Sergio Tavčar, un telecronista di confine
Attraverso queste storie emerge la particolare figura di Sergio Tavčar, nato a Trieste da madre italiana e padre della minoranza slovena, in un dopoguerra in cui la città non era ancora tornata all’Italia. Una terra di confine piena di complessità e di drammi, dove nonostante la cortina di ferro l’influenza della Jugoslavia (o meglio, della Slovenia, che ha sempre avuto caratteri a se stanti) era inevitabile.
Tavčar debuttò da telecronista quasi per caso nel 1971 e divenne celebre come voce di TV Koper-Capodistria. Un’emittente bilingue che, in tempi ancora “sospetti” in fatto di varietà dell’offerta televisiva, riusciva a trasmettere in gran parte d’Italia. E che grazie a una massiccia presenza di sport nel suo palinsesto, si era creata un affezionato pubblico.
Dal 1987 al 1990, con TV Koper-Capodistria, entrata nell’orbita Fininvest prima della sua estromissione dalle frequenze italiane, Tavčar formò con Dan Peterson quella che molti appassionati reputano la miglior coppia di commentatori di sempre nel basket. È amante di un basket tecnico e altruistico e detrattore di quello basato su atletismo e individualismo, tanto che ha fatto spesso parlare di sé per le sue critiche rivolte alla NBA.