Libri di basket: “Sulle spalle dei giganti” di Kareem Abdul-Jabbar

Sulle spalle dei giganti“, secondo una convinzione del filosofo medioevale Bernardo di Chartres poi mutuata da Isaac Newton, si vede meglio e più lontano, perché siamo portati in alto grazie alla loro statura.

E Sulle spalle dei giganti. La mia Harlem: basket, jazz, letteratura è il libro con cui Kareem Abdul-Jabbar rende omaggio all’influenza che certi “giganti” hanno avuto sulla sua vita, nella pallacanestro ma soprattutto al di fuori di essa.

Il volume scritto con Raymond Obstfeld, uscito nel 2007 e pubblicato in Italia nel 2018 da Add Editore, racconta personaggi e tratti essenziali di una cultura, quella afroamericana, che suo malgrado ha sempre condotto un’esistenza parallela alla storia “ufficiale” e “bianca” protagonista nei libri di scuola così come in altri contesti.

La black culture ha avuto il suo centro propulsore in Harlem, lo storico quartiere afroamericano di New York che, tra gli anni ’20 e gli anni ’40 del Novecento, fu interessato dalla cosiddetta Harlem Renaissance.

Sulle spalle dei giganti: la Harlem Renaissance

La fioritura artistica, letteraria, intellettuale, musicale che sbocciò a Harlem in quel periodo ha avuto una decisiva influenza su Lew Alcindor come persona e come giocatore di basket. Tanto che lui stesso ascrive il cambio di nome in Kareem Abdul-Jabbar a quel substrato culturale che scoprì da studente durante i fermenti sociali degli anni ’60.

La Harlem Renaissance contribuì in maniera fondamentale a dare dignità ai neri e a costruire l’immagine dell’afroamericano moderno. Fu una vera e propria rivoluzione culturale, decisa a cambiare il modo con cui le persone di colore erano viste dall’America bianca. Definì il New Negro, cioè l’uomo nuovo ispirato da quei valori, sogni e successi. L’afroamericano così colto, fiero e talentuoso che i bianchi non avrebbero potuto far altro che ammirarlo e i neri emularlo.

A proposito, nel libro si fa chiarezza sulla delicata questione della terminologia relativa agli afroamericani. Quest’ultimo è tuttora, insieme a black, resta il termine più adatto e accettato. La parola nigger, come si sa, ha una fortissima connotazione spregiativa. Invece negro – o Negro con la maiuscola – poteva essere usato in modo neutro. O addirittura con accezione positiva.

La capitale dell’intera comunità afroamericana, non solo di New York, era dunque Harlem. Un quartiere a sua volta molto differenziato al suo interno, ma dove molte personalità consentirono agli afroamericani di dare una grossa spallata alla discriminazione razziale: jazzisti, scrittori, accademici, ma anche sportivi come la mitica squadra di basket degli Harlem Rens. Per il giovane Kareem queste persone sono stati veri e propri “giganti” a cui ispirarsi per tutta la vita.

kareem abdul jabbar oggi

La capitale del mondo afroamericano

Sulle spalle dei giganti alterna capitoli di carattere storico, curati da Obstfeld, a capitoli in cui Kareem Abdul-Jabbar parla della sua esperienza in prima persona. Si segue uno schema di botta e risposta tipico delle culture dell’Africa occidentale. Il suo riflesso è oltretutto evidente nella musica afro per eccellenza, il jazz, su cui c’è un interessante approfondimento nelle parti finali del volume.

Conosciamo così la storia di una Harlem che all’inizio del Novecento era ancora un agiato quartiere bianco, con i neri relegati nello squallido ghetto di Tenderloin. Ma che nei decenni successivi, complice anche l’eccessivo sviluppo edilizio con molte case rimaste vuote, si popolò a dismisura di afroamericani. Ciò avvenne in concomitanza con la grande migrazione che portò nel nord milioni di persone dagli stati del sud e dai Caraibi. Un fenomeno essenziale per comprendere lo sviluppo urbano degli Stati Uniti fino ad oggi. Molteplici le cause: la crisi del cotone, la forte richiesta di manodopera industriale per le guerre mondiali, la fine dell’immigrazione dall’Europa, le violenze del Ku Klux Klan, l’ingiustizia delle leggi segregazioniste.

Quindi, gli autori ci guidano attraverso i luoghi di Harlem, che non erano tutti uguali. I bianchi che frequentavano la zona ne scoprivano un lato estremamente superficiale. Come quello di locali come il Cotton Club, che offrivano un’immagine edonistica degli afroamericani, intenti solo a fare musica, sesso e divertimento. Mentre il vero spirito della comunità era incarnato da posti come il Renaissance Casino and Ballroom, dove nacquero tra l’altro i Rens.

C’era la Harlem magnificente della Settima Avenue, la Great Black Way con i suoi teatri, librerie, club, scenario prediletto per cortei e parate. E la Harlem dura, violenta, disperata, sovraffollata della Lenox. La Harlem benestante di Sugar Hill, dove abitavano quelli che ce l’avevano fatta a uscire dalla miseria. E ancora la Harlem intellettuale della 135th Street. Per finire con la Harlem commerciale e culturale della 125th con l’Apollo Theater. Su quel palcoscenico artisti afroamericani si esibivano per lanciare la propria carriera.

Kareem e la sua storia

Il libro prosegue raccontando la vicenda personale di Kareem Abdul-Jabbar intrecciandola a quella dei maggiori esponenti della Harlem Renaissance. Ecco allora i profili dei grandi leader intellettuali e letterari Booker T. Washington, W.E.B. Du Bois, Charles S. Johnson, Marcus Garvey, Zora Neale Hurson, Langston Hughes, Wallace Thurman, James Baldwin.

Un occhio al basket c’è sempre. Come quando Kareem racconta la nascita della sua giocata, lo sky hook, come tratto distintivo attraverso cui non essere mai più invisibile per nessuno, nonostante i 2,18 di altezza. O la storia dei suddetti Rens che hanno avuto un profondo impatto sulla percezione e sullo sviluppo del black basketball a livello professionistico e non più soltanto amatoriale e di esibizione.

L’autore ha sempre riservato un’enorme importanza alla storia. Afferma che se non fosse diventato un giocatore avrebbe fatto l’insegnante. Per Kareem la storia “ci permette di vedere dove sono stati coloro che ci hanno preceduto, quali errori hanno fatto e come possiamo evitare di ripeterli. Grazie alla storia possiamo vedere in che cosa sono riusciti e fare nostri i loro trionfi, lasciandoci ispirare dai loro risultati per diventare migliori”. Lui stesso è autore di saggi di storia afroamericana, con cui intende ispirare i giovani.

La mia altezza – scrive in Sulle spalle dei gigantiè una questione genetica. Non posso prendermene alcun merito. Ma la persona che sono, come vedo il mondo e l’impatto che voglio avere sulla mia comunità, sono tutte cose che provengono dal mio cuore e dal mio cervello. E quello che prova il mio cuore e pensa il mio cervello è stato plasmato dai molti ‘giganti’ che ho incontrato. […] Se la Harlem Renaissance ci ha insegnato qualcosa, è guardare a ognuno di loro come a un essere umano, e non solo come a un’icona del colore“.

kareem abdul-jabbar sulle spalle dei giganti

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