Potremmo definirlo “uno specialista”, Lorenzen Wright. Titolare di un atletismo perfetto per emergere nel mondo del basket, divenuto prestissimo stellina collegiale in quel di Memphis, e deceduto in modo tragico a pochi mesi dalla fine della sua carriera.
Giocando a Los Angeles, Atlanta, Cleveland e soprattutto nella sua città, quella dei Grizzlies. Una storia in cui una condizione di sofferenza appare predestinata fin dall’inizio, attraverso una serie di drammi che si concludono nel modo più irreversibile in assoluto. L’omicidio.
Il ruolo di Herb Wright
La vita di Lorenzen e della sua famiglia è caratterizzata dall’amore per la pallacanestro, anche e soprattutto grazie al padre Herb. Un’ala piccola di 195 centimetri che aveva fatto bene ai tempi del junior college, emergendo come consistente rimbalzista, prima di esportare il proprio talento in Finlandia dove avrebbe dominato il campionato del paese.
Tornato a Memphis declinando un’offerta del Nizza, il signor Wright si reinventa come direttore di un centro ricreativo, e durante una partita mista in cui era protagonista anche sua figlia, interviene in una rissa scaturita da classici insulti a sfondo sessuale. Dopo aver allontanato dalla palestra tre uomini, viene raggiunto da due proiettili alla schiena, e finisce in coma per cinque giorni.
Il figlio Lorenzen – che vive con la madre a Oxford, nel Mississippi – apprende la notizia dai notiziari televisivi, e non vedrà fisicamente il padre fino al Natale seguente, quando Herb riesce a raggiungerlo guidando un furgoncino appositamente modificato. Sì, perché in seguito a quegli spari, Herb Wright finisce confinato in sedia a rotelle a vita, dedicando tutto se stesso allo sviluppo cestistico del figlio, che nel frattempo promette più che bene.
Il destino di “The Howl”
La vista di un uomo che non si arrende, così vitale e determinato, convince “Zo” a lavorare su sé stesso, scacciando il dolore e la paura per il destino del padre, eleggendolo a guida personale. Si trasferisce così a Memphis in occasione del suo ultimo anno di liceo, allenandosi quotidianamente seguendo i suoi consigli, diventando stella dei Memphis Tigers e guadagnandosi la settima scelta assoluta del Draft 1997 con i Los Angeles Clippers.
Viene soprannominato “The Howl”, a causa degli urli rabbiosi con i quali sottolinea ogni stoppata e ogni schiacciata in faccia alle difese avversarie, chiudendo il primo anno di college con 14,8 punti 1 10,1 rimbalzi ed il secondo con 17, 4 e 10,4. Abbiamo a che fare con un centro di 211 centimetri baciato da madre natura, con capacità di rimbalzista ereditate dal padre, buone capacità di difesa del ferro e l’istinto dei predestinati.
Dopo tre anni nella Città degli Angeli e due ad Atlanta, Wright ritorna nella “sua” Memphis giocando le migliori stagioni in carriera, toccando da subito 12 punti e quasi 10 rimbalzi per partita, e recitando la parte del giocatore prezioso. Non certo un All-Star, tantomeno uno attorno al quale costruire una squadra, ma affidabile pedina utile nello sviluppo di un roster competitivo. Anche se i suoi Grizzlies si infrangono subito al primo turno, nelle due stagioni in cui raggiungono la postseason.
In tredici anni di onorata carriera chiude con medie onestissime (8 punti e 6,4 rimbalzi), pronto a lasciarsi dietro le spalle una vita mossa dalla tragedia occorsa al padre, impegnandosi per la comunità di Memphis anche attraverso i progetti Nba Cares.
Nel frattempo, un destino malvagio che non gli avrebbe risparmiato il suo insensibile zampino neanche in futuro, aveva portato via la figlia Sierra nel 2003 ad appena 11 mesi, a causa della sindrome della morte in culla. Una tragedia alla quale aveva dovuto far fronte con la moglie Sherra, contitolare di un rapporto tormentato destinato a gravare non poco sulle casse del giocatore: Zo non lesina aiuti economici a nessuno – tantomeno ai membri della sua crew più stretta – e finisce presto vicino alla bancarotta, costretto a vendere case, macchine e altri beni acquisiti per mantenere comunque i sei figli messi al mondo con la moglie.
La tragedia di Lorenzen Wright
Il 19 luglio del 2010 Lorenzen Wright scompare ufficialmente: a dare l’allarme ci pensa la sorella, cosciente che avrebbe dovuto recarsi da Memphis ad Atlanta per vedere i propri figli, ma nessuno aveva saputo più niente di lui.
Il suo corpo viene ritrovato crivellato di colpi in un bosco diversi giorni dopo, e la prima persona che viene informata dell’identificazione è proprio Herb, disperato come mai nella sua vita. Molto di più di quando si trovò steso da quei due spari, immediatamente consapevole di aver perso l’uso delle gambe.
All’inizio si parla di bancarotta, di depressione, di suicidio. Poi sbuca una telefonata partita dal cellulare del giocatore al 911, dove sono udibili delle urla e dieci colpi presunti di arma da fuoco, e le indagini iniziano a indirizzarsi verso l’omicidio. Wright è ricordato comunque come un uomo sorridente, gentile, impegnato; nessuno può immaginarsi istinti suicidi in lui, neanche in una situazione personale complessa.
A Memphis la comunità è profondamente sotto shock: due tra i più illustri prodotti cestistici cittadini come Anfernee Hardaway ed Elliott Perry, si recano di persona nel luogo del ritrovamento. I funerali si celebrano al FedEx Forum, con tantissima NBA ee il sindaco della città a presenziare, chiedendo giustizia.
Nel frattempo la moglie inizia a parlare di storie di droga, ma l’arma del delitto viene rinvenuta nel lago di Walnut (a 75 miglia dal luogo dell’omicidio), con conseguente arresto per tale Billy R. Turner, diacono della chiesa di Collierville. Lo stesso destino tocca a Sherra Robinson (ex signora Wright) poco tempo dopo, non a caso frequentante la chiesa del diacono, accusata di essersi messa d’accordo con lui per fare fuori il povero Lorenzen e intascare il milione di dollari relativo all’assicurazione sulla vita.
Una vera ed autentica beffa, per un giocatore impegnato nella comunità, padre di sei figli, fratello e figlio adorato, valutato come semplice cumulo di denari sul quale mettere le mani. Da morto, ovviamente, finita tutta la liquidità messa insieme in una carriera NBA. Ci vorranno la bellezza di nove anni per ottenere la confessione di Sherra – direttamente dal carcere dove nel frattempo era stata condannata per primo grado – ammettendo di aver organizzato tutto con due complici, uno ancora sconosciuto.
Magari Lorenzen Wright non era nel privato l’uomo che tutti conoscevano (racconterà di essere stata più volte picchiata da lui), ma vogliamo parlare della sua maledizione? O meglio, della maledizione di quel cognome, partita da un colpo di pistola alle spalle di Herb e conclusa nel dramma di sei figli orfani di padre e con una madre reclusa. Passando attraverso al solito e inquietante rumore di arma da fuoco, riecheggiante nei boschi dove l’ex prima scelta dei Clippers ha perso la vita, una manciata di mesi dopo aver appeso le scarpette al chiodo.
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