Vince Carter è stato il primo giocatore NBA a scendere in campo in quattro diversi decenni, avendo esordito nel 1998. E, pur non avendo mai vinto il titolo, è stato uno dei giocatori più amati e popolari di sempre, soprattutto nei primi anni di una carriera conclusa nel 2020 all’età di 43 anni.
Il suo ritiro è quindi l’occasione giusta per rivedere The Carter Effect, documentario diretto da Sean Menard e prodotto dalla Uninterrupted, la casa fondata da LeBron James insieme al suo socio, manager e amico Maverick Carter. Il film è uscito nel 2017 ed è disponibile su Netflix.
In particolare, The Carter Effect pone l’attenzione sugli anni di Toronto e sul ruolo avuto da “Vinsanity” – il suo soprannome più noto, derivato dall’elevatissimo contenuto spettacolare insito nel proprio gioco – nella crescita dei Raptors e di riflesso dell’intero Canada nella NBA e nel panorama cestistico mondiale.
The Carter Effect cambia Toronto
Grazie alla lungimiranza del commissioner David Stern, i Toronto Raptors sono stati impiantati nella metropoli in riva all’Ontario nel 1995. Una ventata di novità sia nel nome della franchigia, ispirato al film Jurassic Park che in quegli anni spopolava nelle sale e nell’home video, sia nelle divise naïf viola, bianche e rosse con il dinosauro. Nelle prime stagioni i Raptors hanno giocato allo SkyDome (oggi Rogers Centre), il gigantesco stadio coperto del baseball situato ai piedi dell’iconica CN Tower.
Inizialmente il Canada, da sempre terra di hockey su ghiaccio, non sembrava essere un humus fertile per far attecchire la febbre del basket. Tanto che l’altra franchigia canadese che ha debuttato nello stesso anno, i Vancouver Grizzlies, è sopravvissuta soltanto per sei, magrissimi anni prima di trasferirsi a Memphis. Alla “selezione naturale” del mercato NBA sono scampati invece i Raptors che, dopo anni di difficoltà e delusioni, nel 2019 sono finalmente riusciti a conquistare il titolo, diventando a tutti gli effetti i rappresentanti di un’intera nazione.
Per costruire certi processi di crescita, a maggior ragione in un contesto come quello del basket americano, ci vogliono anni e i Toronto Raptors non hanno fatto eccezione. Una notevole accelerata, tuttavia, è stata impressa nei primi tempi proprio dal cosiddetto “Effetto Carter”. L’arrivo di un giocatore esplosivo come Vince ha infatti contribuito a cambiare radicalmente la percezione della squadra, tra l’altro negli anni immediatamente successivi al ritiro di Michael Jordan durante i quali la NBA era alla disperata ricerca di “sostituti”.
L’esplosione di “Vinsanity”
Proveniente dal college di North Carolina, Vince Carter è stato scelto al Draft 1998 dai Golden State Warriors con la quinta chiamata, per essere subito scambiato con Antawn Jamison da Arizona, che i Toronto Raptors avevano selezionato subito prima di lui, alla numero quattro. Vince ha varcato il confine settentrionale degli Stati Uniti con la fama di potenziale superstar, ma non era ancora così conosciuto. E soprattutto è stato ben disposto ad accettare la destinazione canadese, cosa tutt’altro che scontata tra i giocatori NBA.
Un ruolo importante lo ha avuto Tracy McGrady, l’altro aspirante uomo-franchigia, arrivato l’anno precedente e inoltre cugino di terzo grado dello stesso Carter. A quest’ultimo è stato sufficiente qualche volo ben al di sopra del ferro per diventare un idolo dei fan dei Raptors e meritarsi, oltre a Vinsanity, l’altro nickname di “Air Canada” (come la compagnia di bandiera che all’epoca dava il nome all’attuale Scotiabank Arena), lui che tra l’altro proviene dal non esattamente nivale clima di Daytona Beach, Florida. La sua prima signature shoe, la Puma Vinsanity, è stata il modello più venduto in assoluto dalla casa tedesca, che in seguito abbandonerà per passare a Nike.
La tendenza di media e pubblico a cercare sempre qualche rivalità ha finito per creare un dualismo tra Vince e suo cugino, dal momento che T-Mac, che lascerà i Raptors nel 2000 per andare a Orlando, si sarebbe sentito trascurato dopo l’esplosione di Carter. Soprattutto dopo il trionfo nello Slam Dunk Contest all’All-Star Game di Oakland 2000, l’evento in cui il gioco aereo e le schiacciate di Carter hanno conosciuto la definitiva elezione al rango di arte. In tale occasione “Vinsanity” ha sfoderatp quattro affondate una più esaltante dell’altra, tra cui la “360” in senso contrario e l’epica Elbow Dunk restando appeso con il braccio infilato nel canestro. Il tutto nonostante un’iniziale scarsa voglia di partecipare e dei punti di sutura alla mano sinistra.
La legacy di Vince Carter
Nei sei anni di Toronto, Vince Carter è stato l’orgoglio della città e ha contribuito a portare di fatto il mondo NBA in Canada. Ad esempio attraverso il locale trendy di cui era socio, l’Inside. O con la promozione di prodotti sportivi. In generale, attirando interesse verso quella che comunque è una città multiculturale, ma che non aveva ancora il basket tra i suoi punti di riferimento. Le sue incredibili doti – che gli sono valsi ulteriori nickname come “Vincredible” e “Half Man Half Amazing” – e la credibilità del personaggio hanno calamitato sui Raptors una maggiore attenzione da parte dei grandi network televisivi USA. In occasione della prima volta in diretta tv nazionale, nel 2000, Carter ha segnato 51 punti nella vittoria sui Phoenix Suns 103-102.
Non sempre, tuttavia, il rapporto di Vince Carter con Toronto è filato liscio. Come quando, ad esempio, nel 2001 è arrivato a Philadelphia giusto in tempo per la gara decisiva della semifinale di conference, persa dai Raptors di un solo punto dopo un suo errore nel tiro decisivo. Nel pomeriggio, prima di fiondarsi su un aereo in fretta e furia, Carter era stato a North Carolina a laurearsi, dopo aver ripreso gli studi interrotti dal Draft, ma i tifosi e lo staff ci rimasero male. L’arrivo di una nuova dirigenza e un infortunio al tendine d’Achille non lo hanno aiutato, la gente ha cominciato a contestarlo e nel 2004 è stato scambiato ai New Jersey Nets per Alonzo Mourning. La carriera proseguirà un po’ sottotono, toccando Orlando, Phoenix, Dallas, Memphis, Sacramento e Atlanta. Il titolo non arriverà mai e negli ultimi anni il suo ruolo è stato quello di mentore per i giovani.
In ogni caso, il periodo ai Toronto Raptors – i cui fan lo fischieranno a ogni ritorno da avversario, “perdonandolo” solo molti anni più tardi – è quello di maggior splendore per Vince Carter. Senza di lui probabilmente Toronto e il Canada non sarebbero quel che sono oggi: il suo esempio ha avvicinato tanti bambini e ragazzi alla pallacanestro, tutti cresciuti nel mito di “Vinsanity” e partecipanti ai numerosi camp da lui organizzati. Se oggi ci sono molti esponenti della foglia d’acero in NBA e in NCAA, oltre che negli altri continenti, lo dobbiamo anche a Vince. In The Carter Effect, tante voci di canadesi di spicco accompagnano l’incalzante narrazione del documentario: Nik Stauskas, Kelly Olynyk, Steve Nash, Cory Joseph, Tristan Thompson. Ma Vince ha ispirato anche personaggi esterni allo sport, come il rapper Drake, oggi l’ambasciatore numero uno dei Raptors, dj, registi, produttori. E ricordate quella terrificante schiacciata ai Giochi Olimpici di Sydney 2000 con il Dream Team? Be’, a volare sopra il povero Frédéric Weis della Francia era proprio Vince Carter…