Bastano già titolo e sottotitolo a definire perfettamente il contenuto del libro di Matteo Girardi, uscito nel 2023 per Ultra Edizioni: Una magnifica ossessione – Basket e vita nella Bologna degli anni Novanta. C’è tutto.
Perché la pallacanestro a Bologna è proprio così: un’ossessione. In senso positivo, aggiungo, nonostante forse più di qualcuno del posto potrebbe obiettare. E lo è stata soprattutto durante le straordinarie vicende cestistiche che hanno visto Bologna protagonista nel decennio che l’ha marchiata a fuoco, in via definitiva, come Basket City.
Un’epopea filtrata fotogramma per fotogramma dagli occhi di un bambino che diventa adolescente e poi uomo, sullo sfondo di una città a sua volta in grande fermento, che cambia con lui. Da Alberto Tomba a Roberto Baggio, dalle occupazioni studentesche al primo sindaco di destra, da Jack Frusciante ai Lùnapop. Amicizie, amori, scuola, vicissitudini familiari, i primi lavori. E una costante, un rifugio sicuro: la palla a spicchi.
A proposito, non sto dimenticando un aspetto importante? Certo che sì. Perché a Bologna, se si parla di basket, è impossibile rimanere neutri: Virtus o Fortitudo? Matteo, classe 1977, per tutta la vita ha scelto di soffrire con la seconda. O meglio, ci si è trovato dentro da piccolo ed è come se ci fosse nato. La passione non si è mai spenta e prosegue tuttora, pur vivendo all’estero.
Fortitudo, la Bologna viscerale
Se la Virtus, almeno dal punto di vista storico, è considerata la squadra “borghese” di Bologna, la Fortitudo è la controparte “popolare”. Quella che si contraddistingue per una passione e per un tifo più radicati e viscerali. La Fossa dei Leoni, fondata nel 1970, è il più antico gruppo ultras del basket italiano.
Essere fortitudini, però, è qualcosa che va oltre la pallacanestro. Significa senso di appartenenza. Attaccamento alla maglia sempre e comunque. Amore senza condizioni. Anche e soprattutto quando la squadra perde. E la “Effe” ha vinto terribilmente poco e deluso molto rispetto a quanto sia stata amata dai suoi sostenitori.
Come scrive nella prefazione Filippo Venturi, memoria storica bianco-blu che ricordiamo inoltre come curatore dell’autobiografia di Gianmarco Pozzecco, “noi fortitudini abbiamo questo potere magico: siamo felici senza vincere (…) I tifosi che si sentono vincenti nella vita perché la loro squadra del cuore vince mi fanno scappare dal ridere“. Perché nella vita non si vince tutti i giorni, anzi. E l’importante è metterci ogni volta impegno e passione, non mollare mai, darci dentro.
Tuttavia questo mood porta Girardi a chiedersi se “per qualche strano motivo i nostri tifosi preferiscano la sofferenza alla gioia. Non si può spiegare diversamente questo malsano attaccamento al dolore, forse facciamo tutti parte di una strana setta senza saperlo. Ma ormai sono come loro, un’anima persa dietro alla sua magnifica ossessione“.
Una magnifica ossessione: l’epopea della “Effe”
L’idea di Una magnifica ossessione nasce da un recente ritrovamento dell’autore, che si imbatte online nella foto di un’anonima partita degli anni Novanta. Sullo sfondo riconosce se stesso e suo padre seduti in parterre al PalaDozza. Come una “madeleine”, l’immagine dà origine a un coinvolgente racconto sportivo e umano in costante equilibrio tra nostalgia e ironia, in cui vittorie e sconfitte sul parquet si rispecchiano in quelle della vita, e viceversa.
Il volo dell’aquila, simbolo Fortitudo, riconduce il lettore alla squadra che faticava in A2 negli anni Ottanta, ma capace di sognare e realizzare un impensabile sorpasso alla Virtus. Che avvenne il 13 aprile 1988 nel derby dei “Primi a Bologna”, in cui la Fortitudo inflisse ai rivali una clamorosa eliminazione dai playoff scudetto (all’epoca erano ammesse anche formazioni di A2). E l’anno dopo farà il bis in serie A con una vittoria di 32 punti, il cosiddetto derby del “Grande Freddo”.
Poi, la Fortitudo di Djordjevic ed Esposito, Myers e Fucka, l’arrivo del facoltoso proprietario Giorgio Seragnoli e l’ascesa ai vertici italiani ed europei. Con uno scudetto che, però, non vuole saperne di arrivare. Tre finali consecutive perse (1996, 1997, 1998), la terza delle quali quella più iconica e dolorosa: il “tiro da quattro” di Danilovic.
Matteo Girardi è testimone di ogni momento, fino al liberatorio scudetto del 2000, su cui si chiude il libro. In appendice, rapidi accenni a ciò che è successo da allora ai giorni nostri. Oggi la Fortitudo è di nuovo in A2, come più di trent’anni fa, quando sfidare la Virtus sembrava improbo. Ma i veri fortitudini saranno sempre là a dimostrare amore incondizionato per la loro squadra.
Un ricordo a tinte bianco-blu
La recensione di Una magnifica ossessione di Matteo Girardi è finita. Consentitemi, però, di aggiungere un ricordo personale a tinte bianco-blu. Cosa c’entro io con la Fortitudo? Praticamente nulla. Non sono bolognese e nel basket non tifo per nessuna squadra. Intendo quel tifo “calcistico”, quella fede che ti porti dentro fin da quando hai memoria.
Tuttavia, le sfide epiche tra Fortitudo e Virtus hanno avuto un’onda lunga. Anche nella cittadina del Lazio da cui provengo, ai tempi della mia adolescenza, si erano creati gruppetti di simpatizzanti, per l’una o l’altra. Per chi tenevo? Non me ne vogliano gli amici virtussini, ma stavo per la Fortitudo. A gara 5 del 1998 ero davanti alla tv a soffrire. Non ho più trovato la videocassetta su cui avevo registrato la partita.
Forse, a 15-16 anni, avevo anch’io quello strano attaccamento alla sofferenza di cui parla Matteo. E che riconosco essere stato importante per la mia crescita, per iniziare ad avere fiducia in me stesso. Del resto, nel calcio tifo Inter, la squadra “pazza” che non vinceva mai, e nel baseball sono dei Mets, la squadra “sfigata” ma passionale di New York. Fortitudino una volta, fortitudino per sempre? Non lo so, lo lascio stabilire a un fortitudino vero. Magari a Matteo stesso, se mi sta leggendo!
Per finire, Bologna: per chi è stato teenager a fine anni Novanta, era una specie di città mitica, meta indiscussa delle gite scolastiche. Sinonimo di divertimento, libertà, passione, il place-to-be esatto opposto della realtà di provincia da cui venivamo. E se ti piaceva il basket, allora era il top. Ricordo che acquistai nel negozio Fortitudo in Via Bassi (che penso non esista più) una canotta ufficiale da allenamento. Ma sbagliai la taglia, enorme: non la usai mai. Come la videocassetta, anche quella è andata perduta.