Vince Carter: I want to fly

I want to fly / Can you take me far away / Give me a star to reach for / Tell me what it takes / And I’ll go so high / I’ll go so high / My feet won’t touch the ground [Macklemore & Ryan Lewis, Wing$]

Se Macklemore si sia lasciato ispirare da “Air Canada” per scrivere questo brano, francamente non lo so. Ma io associo la melodia a Vincent Lamar Carter, scelto dai Golden State Warriors con la numero 5 al Draft NBA del 1998 e subito scambiato ai Toronto Raptors.

Ascolto questa canzone e penso a Mr. Carter che nel 1999 vince il premio di Rookie of the Year. Penso ai due inserimenti consecutivi negli All-NBA Team nel 2000 e nel 2001. Penso ai campionati americani FIBA del 2003 vinti con Team USA indossando la maglia numero 8. E poi penso alle Olimpiadi di Sydney 2000 e a una schiacciata che, ahimé, mai più i nostri occhi hanno potuto ammirare né da parte di “Vinsanity”, né – figuriamoci – dalle nuove leve.

Penso ai numeri di Vince Carter in quella partita contro la Francia, ovvero 25 schiacciate su 41 canestri realizzati complessivamente. E come se non bastasse tra quelle 25 schiacciate una è surreale, tant’è che passò alla storia come The Dunk of Death, la “schiacciata della morte”. Il motivo di tale nome mi sembra abbastanza chiaro, ma scopriamo insieme com’è andata.

vince carter schiacciata olimpiadi 2000

Vince Carter: la “schiacciata della morte”

Vince Carter, sempre attento ai dettagli, intercetta un passaggio blando di Yann Bonato per far partire un contropiede, dopo due errori di Gary Payton e Vin Baker. Punta il canestro della Francia e mette a fuoco l’ostacolo tra lui e il canestro: è Frédéric Weis, il centro di 218 centimetri, scelto con la numero 15 dai New York Knicks al Draft dell’anno precedente e mai sbarcato in NBA.

Racconta Carter: “Ricordo di aver recuperato quella palla e di aver fatto due palleggi, cercando di capire che cosa stesse facendo Weis. Non cercò di contrastarmi. Stava semplicemente fermo lì sotto il canestro. Così pensai: ‘Se salto prima che lo faccia lui, non c’è modo con cui mi possa fermare’. Lui rimase lì. Ricordo di avergli appoggiato una mano sulla spalla e di essere salito su. Dopo mi sono concentrato solamente sul canestro. Non pensavo a quello che c’era sotto di me. Pensavo che Weis fosse caduto cercando di prendere sfondamento, perché a un certo punto non l’ho sentito più. In quel momento, ebbi paura di essere saltato troppo presto e troppo in alto, e di non riuscire ad arrivare al ferro. Se riguardate le immagini, vedete che cerco di allungarmi in avanti il più possibile, perché non pensavo di arrivare così lontano”.

Vince cercò di replicare quella schiacciata durante gli allenamenti a porte chiuse dei Raptors con i compagni, ma tutti i tentativi fallirono. Mai più nessuna condizione dentro e fuori dal parquet fu per lui favorevole. Frédéric Weis a tutto ciò rispose: “Non ricordo molto, avevo chiuso gli occhi e non mi sarei mosso per nulla al mondo. Ma se c’è una cosa che ho imparato in quell’occasione, è che anche gli uomini possono volare“.

La legacy di Mr. Carter

Oggi, in un arco di oltre vent’anni, poco importa se atleti come Blake Griffin, Zach Lavine, Aaron Gordon, Dwight Howard, fino ai più giovani, ci regalano o ci hanno regalato elevazioni ed esibizioni di tutto rispetto. Niente di tutto ciò che vediamo nel 2024 forse sarebbe mai potuto accadere senza Mr. Carter.

Un atletismo e un’eleganza nei movimenti più unici che rari, all’arroganza e alla tenacia degne del noto avversario nonché mentore Michael Jordan. Una creatività che oggi fatico a riconoscere negli occhi di chiunque altro sul parquet.

I want to fly. Carter nel 2000 porta i Toronto Raptors per la seconda volta ai playoff, con una media di 27 punti a partita. La squadra arriva fino a gara 7 delle semifinali della Eastern Conference, persa per un punto a Philadelphia. Canticchio e penso ai 51 punti segnati con la maglia dei Nets il 23 dicembre 2005 contro i Miami Heat, 37 dei quali segnati nel secondo tempo della gara.

Sorrido e penso a uno dei migliori realizzatori di sempre. Alle sei stoppate contro i Chicago Bulls il 28 marzo 1999. Oppure ai 63 minuti giocati il 23 febbraio 2001 contro i Sacramento Kings. O magari all’apparizione nel film Il sogno di Calvin, penso alle otto volte All-Star.

Vince Carter: Hall of Fame e maglia ritirata

I want to fly. Vince Carter dopo 22 stagioni in NBA è stato ammesso alla Naismith Memorial Basketball Hall of Fame nel 2024. In occasione della sua introduzione a Springfield, nonostante i dissapori del passato, ha omaggiato i Toronto Raptors che lui ha contribuito a mettere sulla mappa della NBA.

Il 2 novembre 2024 i Toronto Raptors, alla Scotiabank Arena, hanno riservato a lui l’onore di essere la prima maglia ritirata nella storia della franchigia. Un momento, questo, che nessuno pensava sarebbe mai arrivato. Il banner elevatosi al cielo riportava l’immagine della sua iconica schiacciata in mezzo alle gambe all’All-Star Weekend di Oakland nel 2000.

Presenti, tra gli altri, Tracy McGrady, Charles Oakley, Muggsy Bogues. Le emozioni hanno avuto la meglio sulla ferocia che Vince Carter riservava in campo a chiunque. Così, tra una lacrima e l’altra, ha detto: “Non è solo ‘Carter 15’ ad andare su stasera, ma tutti noi assieme. I ricordi che abbiamo creato rimarranno lassù. Spero e prego che le nostre maglie rimangano ritirate insieme per sempre. Ho giocato perché mi piaceva. Non è mai stato per inseguire gli anelli e i titoli”.

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