A volte ci sono etichette che ti vengono appiccicate addosso per qualcosa che hai fatto, positiva o più spesso negativa, e non riesci più a togliertele. Anche se è passato tanto tempo. Anche se hai fatto di tutto per avere nuove chance.
Una stupidaggine qualsiasi che ha avuto te per protagonista, come ad esempio una bravata di gioventù, diventa un biglietto da visita. Hai cambiato luoghi, frequentazioni, attività, magari hai realizzato cose più degne di essere ricordate: niente da fare, resti sempre “ah, tu sei quello che…”
Mentre armeggiavo con il mio PC portatile, non a caso, mi è tornata in mente questa riflessione che avevo fatto quindici anni prima, epoca in cui leggevo American Superbasket – ricco di aneddoti su quel che succedeva oltreoceano nel mondo della palla a spicchi – e in cui tenevo un “primordiale” blog in cui parlavo delle mie passioni e di tutto un po’, compreso il basket ovviamente.
Così mi sono ricordato della storia di Marcus Williams, che quella volta mi era rimasta impressa. Non tanto per il gesto compiuto dal giocatore, che – sia chiaro – è assolutamente condannabile, ma per quel che dovette sopportare dopo, anche quando aveva già pagato le sue colpe.
Marcus Williams, vita breve in NBA
La carriera di Marcus Williams, seppur non da buttare, non è che sia stata così fulgida da far dimenticare completamente l’episodio con cui divenne noto, risalente agli anni del college. Nato nel 1985 a Los Angeles, dopo il liceo alla Crenshaw High School e l’ultimo anno alla Oak Hill Academy in Virginia, Marcus nel 2003 approda a Connecticut, dove gioca per tre anni affermandosi come una delle migliori point guard della NCAA.
I problemi avuti fuori dal campo, però, lo fanno retrocedere al Draft da possibile scelta in zona lottery fino alla chiamata numero 22, operata dai New Jersey Nets. In NBA non riesce ad essere più che un comprimario tra Nets, Golden State Warriors e Memphis Grizzlies. Dopo poco più di tre stagioni, inizia a girovagare per l’Europa tra Russia, Spagna, Francia, Serbia, Montenegro (in questi ultimi due paesi vive gli anni migliori). Superati i trent’anni torna negli Stati Uniti, in G League, per rinverdire il sogno NBA e l’ultima volta è stato avvistato nel 2019 agli Stockton Kings.
Al di la della sua carriera, il californiano è passato alla storia come il ladro di computer portatili. Perché di questo si tratta: nel 2005, quando era a Connecticut, fu infatti arrestato per furto di quattro laptop sottratti dalle stanze delle giocatrici di basket.
Il furto dei laptop
L’episodio in questione risale al giugno 2005, pochi mesi dopo aver concluso la sua stagione da sophomore. Insieme a due amici, A.J. Price, futuro giocatore NBA e un certo Thaddeus Ferguson, Marcus Williams ebbe tra le mani quattro portatili che non gli appartenevano – non si è mai capito chi li avesse materialmente trafugati – del valore totale di undicimila dollari.
I complici provarono a vendere i laptop a un banco dei pegni nella cittadina di Manchester, non lontana da Storrs, sede del campus di Connecticut. L’intento non riuscì: i commessi, evidentemente insospettiti, respinsero la mercanzia. Uno di loro aveva ben riconosciuto il ragazzo con le braccia tatuate: era proprio Marcus Williams, il giocatore degli Huskies.
A.J. Price, invece, non era ancora una faccia nota come Marcus: seppur iscritto a Connecticut e neppure lui uno stinco di santo, non aveva ancora giocato neanche una partita. Stava infatti recuperando da un problema di salute abbastanza serio, una malformazione arterio-venosa al cervello operata qualche mese prima, che avrebbe potuto causargli un’emorragia cerebrale. Anche lui point guard, avrebbe giocato a Connecticut dal 2006 al 2009, approdando poi in NBA (Indiana, Washington, Minnesota, Cleveland, Phoenix).
Forse pentiti, i tre giovani cercarono di tornare sui propri passi restituendo il maltolto, ma non fecero in tempo. Due laptop furono ritrovati dalla polizia nella stanza di Price, uno alla reception degli uffici della squadra femminile di basket e l’ultimo fu lasciato dallo stesso Williams a un amico della legittima proprietaria. Troppo tardi: la polizia era già stata avvertita e in agosto, a indagini concluse, Williams e Price vennero tratti in arresto. Marcus era appena tornato dall’Argentina, dove aveva giocato con la Nazionale Under 21 degli Stati Uniti impegnata nel campionato mondiale.
Il ritorno in campo: bersaglio dei tifosi
Tra pentimento e attenuanti varie, Marcus Williams se la cavò con diciotto mesi di libertà vigilata e quattrocento ore di lavori socialmente utili. Anche A.J. Price ottenne la libertà vigilata. In loro aiuto venne un programma cosiddetto di “riabilitazione accelerata” che consente a chi infrange la legge per la prima volta di riprendersi subito e, in caso di buona condotta, mantenere pulita la fedina penale.
L’università, inoltre, lo sospese per due semestri, gli proibì di frequentare gli alloggi per studenti, le mense e gli altri servizi e lo allontanò dalla squadra di coach Calhoun, con cui si accingeva a disputare l’anno da junior. Williams fu riammesso dopo Natale e tornò subito ad essere una delle point guard più promettenti in chiave NBA.
Tuttavia, però, Marcus era ormai diventato inevitabilmente il bersaglio preferito dal pubblico di ogni città dove UConn andasse a giocare. E negli Stati Uniti i tifosi degli sport universitari sanno essere molto, molto cattivi… “Where is my laptop?” divenne lo striscione e il grido ricorrente con cui tutti i sostenitori avversari, con sarcasmo ma anche con una certa dose di crudeltà, lo massacravano puntualmente. Per sua fortuna, tale supplizio durò soltanto pochi mesi, giusto il tempo di portare Connecticut fino alle Elite 8 del torneo NCAA, prima di prepararsi per il Draft.
In seguito al fattaccio, Williams si è sempre comportato bene, cercando di far dimenticare anche i problemi avuti nell’anno da matricola, quando fu sospeso per scarso rendimento accademico e finì per guardare in tv i suoi compagni che vincevano addirittura il titolo nazionale, nel 2004. Una volta lasciato il college, Marcus è diventato un professionista e non ha più rubato laptop, ma quella storia gli è rimasta tatuata addosso per tanto tempo: resta abbastanza incredibile come certe cose, che magari tu stesso per primo vorresti rimuovere, ancor prima che se ne dimentichino gli altri, finisci per portartele appresso per tutta la vita.